19/10/2017 Ombretta Pisano 7583
Nel Libro degli Atti degli Apostoli (cap. 7), nel suo discorso prima di subire il martirio, Stefano parla di Mosè: “Avvicinandosi il tempo della promessa…nacque Mosè e fu gradito a Dio”. Infatti, in tutto il Nuovo Testamento e per molta letteratura cristiana antica Mosè è un personaggio fondamentale. Egli è l’uomo che ha personalmente vissuto un itinerario di salvezza che lo ha portato ad essere a sua volta compagno di altri nel loro viaggio verso Dio e verso la libertà, il tragitto che è anche quello della Chiesa nella notte di Pasqua. Contemplare la figura di Mosè ci aiuta nel nostro cammino pasquale.
Il brano di Es 2,1-10 ha come noto preambolo l’ordine del Faraone di impedire che il popolo degli ebrei continui a crescere diventando una minaccia (cf. Es 1,1-22). Ordina, allora, di uccidere tutti i neonati maschi. Su questo sfondo si dipana la storia di un bambino che nasce in un momento funesto della storia del suo popolo, come ce ne sono, purtroppo, tanti anche oggi. Un momento in cui la paura e il sospetto verso lo straniero mettono a repentaglio la promessa che Dio aveva fatto ad Abramo, di benedirlo con una discendenza incalcolabile.
In un momento come questo, cosa pensare? Dio è bugiardo? O Abramo era solo un sognatore? Ma nulla è più potente delle promesse divine. Un bambino nasce, ed è il segno della solidità delle parole di Dio.
Dal piccolo quadro del nostro brano emerge l’intrecciarsi dell’azione di alcune donne e del loro cuore attento, materno e intelligente. Un’alleanza tutta femminile che oltrepassa ogni barriera etnica. Queste donne vedono solo la bellezza e la fragilità di un bambino senza preoccuparsi della sua provenienza. Le vediamo all’opera in una singolare alleanza, donne ebree e donne egizie, donne umili e principesse. Un bambino speciale davvero, un miracolo che non è solo la salvezza dalla morte certa, ma è la segreta alleanza che Dio intesse partendo dal cuore femminile.
Quattro elementi del testo rivelano il modo di agire proprio di Dio:
- la famiglia di Levi. Levi era uno dei figli di Giacobbe, macchiatosi con suo fratello Simeone di un grave crimine per il quale riceve da suo padre una maledizione (cf. Genesi 49,5-7). Con Mosè, però, Dio sceglie di portare la sua salvezza attraverso un discendente di Levi, mettendo così il sigillo della sua benedizione su quello che era un destino di maledizione. E’ il segno per eccellenza dell’azione di Dio, che rovescia le prospettive: lo vediamo nel Magnificat di Maria e in san Paolo: “Dio ha scelto ciò che è stoltezza del mondo per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che è debolezza del mondo per confondere i forti”. (1Cor 1,27-28);
-“la donna vide che era bello”:è la bellezza straordinaria di questo bambino che mette in moto la macchina della salvezza, la scintilla che accende il cuore di queste donne straordinarie che si attivano, a rischio della vita. Ma di che bellezza si tratta? La frase ricalca l’espressione ebraica che troviamo nella Genesi, quando Dio guarda le creature che ha creato: “e Dio vide che era bello”. L’Autore sacro, richiamando la Genesi, pone qui un indizio per noi: ci vuole dire che sta avvenendo qualcosa che richiama il gesto della creazione. Quando Dio con questo bambino inizia a realizzare quanto aveva promesso ad Abramo, è come se creasse nuovamente l’umanità;
-la cesta (tebah)è un altro elemento che ci riporta ai racconti della Genesi, all’Arca di Noè (Gen 6,14). E’ sempre in causa la salvezza di quello che sarà il popolo di Dio, perché dall’umanità rinata dopo il diluvio potrà nascere Israele. Una salvezza affidata ad un mezzo precario, fragile, ma che dice ancora una volta la potenza di Dio, il suo vegliare affinché le sue promesse si realizzino;
-Il nome “Mosè”dall’egizio“figlio di”, (come Tut-mosis, “figlio di Tot”), di cui si è conservata forse solo la parte finale. Al v. 10 si dice che la principessa, pensando di trovarsi davanti un orfanello, decide di fare la parte del genitore (“e fu per lei un figlio”), il cui primo atto è di dare il nome. Leggendo la sua storia con gli occhi della fede, Israele ha interpretato il nome Mosheh come derivato dal verbo mashah, “tirare (fuori)” dalle acque. Per Israele Mosè è il primo dei salvati dall’Egitto.
La storia della nascita di Mosè dice che Dio veglia per realizzare le sue promesse, e che dirige gli eventi per farlo. Indica nella fragilità di un bambino condannato a morire dall’odio irrazionale dei potenti, la bellezza di una nuova, inaudita possibilità, lo splendore della forza che porta benedizione. La collaborazione delle donne nel piano di salvezza divino, dice quanto sia importante il cuore, davanti a situazioni disperate di abbandono e di fragilità. Forse ancora oggi, guardando alla nostra attualità, siamo chiamati a vedere in molti condannati a morire nelle acque, la bellezza che può salvare la nostra umanità.
*
[1]Un uomo della famiglia di Levi andò a prendere in moglie una figlia di Levi. [2]La donna concepì e partorì un figlio; vide che era bello e lo tenne nascosto per tre mesi. [3]Ma non potendo tenerlo nascosto più oltre, prese un cestello di papiro, lo spalmò di bitume e di pece, vi mise dentro il bambino e lo depose fra i giunchi sulla riva del Nilo. [4]La sorella del bambino si pose ad osservare da lontano che cosa gli sarebbe accaduto. [5]Ora la figlia del faraone scese al Nilo per fare il bagno, mentre le sue ancelle passeggiavano lungo la sponda del Nilo. Essa vide il cestello fra i giunchi e mandò la sua schiava a prenderlo. [6]L'aprì e vide il bambino: ecco, era un fanciullino che piangeva. Ne ebbe compassione e disse: “E' un bambino degli Ebrei”. [7]La sorella del bambino disse allora alla figlia del faraone: “Devo andarti a chiamare una nutrice tra le donne ebree, perché allatti per te il bambino?”. [8]“Và”, le disse la figlia del faraone. La fanciulla andò a chiamare la madre del bambino. [9]La figlia del faraone le disse: “Porta con te questo bambino e allattalo per me; io ti darò un salario”. La donna prese il bambino e lo allattò. [10]Quando il bambino fu cresciuto, lo condusse alla figlia del faraone. Egli divenne un figlio per lei ed ella lo chiamò Mosè, dicendo: “Io l'ho salvato dalle acque!”.(Esodo 2,1-10)
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