21/11/2012 Ombretta Pisano 7627
Il riferimento ai “due testimoni” si trova in Ap 11,3-12. Si tratta senza dubbio di personaggi straordinari. Le loro azioni sono descritte in tre parti della pericope: predicano accompagnando la parola con la capacità di realizzare prodigi; vengono perseguitati da parte di coloro che si sentono minacciati dalla predicazione; risorgono e sono assunti in cielo, dove i loro nemici possono contemplarli. Siamo davanti ad uno schema tipico che ritroviamo anche nella vita di Gesù, e per il quale possiamo dire che l’autore intende rendere questi personaggi immediatamente somiglianti a Cristo stesso. E’ per questo che vengono chiamati “testimoni”, in quanto incarnano nella loro vita l’oggetto della loro testimonianza, cioè l’insegnamento e il mistero pasquale di Gesù.
Il fatto di essere “due” si riferisce all’autenticità della testimonianza, che – durante un processo – veniva attestata quando erano almeno due i testimoni dell’accusa (si vedano su questo Numeri 35,30; Deuteronomio 17,6; 19,15; Matteo 18,16; Giovanni 8,17; Ebrei 10,28). Così anche qui, il numero due indica la credibilità della testimonianza data da questi due personaggi, che però possono anche non essere letteralmente ‘due’, perché la portata simbolica del numero può semplicemente indicare l’autenticità della testimonianza di ogni singolo discepolo di Cristo o dell’insieme di essi.
Un altro elemento collegato alla loro autorità è il fatto che siano loro attribuiti alcuni poteri tipici di Elia (non far piovere), Mosè (trasformare l’acqua in sangue e riversare le piaghe sul territorio) e Geremia (dalla loro bocca esce fuoco, come in Geremia 5,14, dal quale la Parola del Signore esce per ‘consumare’ il popolo come il fuoco fa con la legna). In quest’ultimo caso, il potere divino ‘distruttivo’ indica l’effetto che la Parola divina provoca quando entra in contatto con la vita delle persone e che può a sua volta provocare un’opposizione anche violenta al profeta, fino ad ucciderlo.
Ma l’elemento che maggiormente accredita la testimonianza dei due personaggi in questione è la loro resurrezione/assunzione al cielo, che li assimila a Cristo non solo nelle tribolazioni e nella morte ma anche nella gloria. Si tratta di una realtà che sarà sotto gli occhi di tutti, che sarà “contemplata” (cioè riflettuta, meditata) dagli stessi persecutori.
Ora, per entrare più specificamente nel merito della domanda, se i due testimoni di Ap 11 sono tra noi, la risposta data di seguito mi offre l’opportunità di introdurre un principio molto importante per comprendere il meccanismo dei simboli nelle narrazioni bibliche.
L’aspetto simbolico delle immagini usate nel libro dell’Apocalisse (come anche in altri testi biblici) ci permette spesso di accostarli in una certa misura a persone ed accadimenti del nostro tempo. L’Apocalisse, che significa letteralmente “rivelazione, svelamento”, offre le chiavi e i criteri per distinguere, in una realtà, quanto vi è di positivo o negativo per attuare un discernimento e saper guardare dentro persone, atti e avvenimenti. Questa operazione svela, appunto, quanto vi è di nascosto e lo rende evidente a tutti. Ma perché il simbolo abbia questo effetto, esso non deve e non può ricalcare esattamente le persone, gli avvenimenti che abbiamo davanti a noi, quasi li descrivesse alla lettera; deve, piuttosto, richiamarne alcuni elementi tipici e ricorrenti, deve trascendere, andare oltre gli eventi specifici della storia nel momento in cui si vive. Il simbolo deve valere per oggi e per il futuro. Per questo non si può dare il nome ed il cognome ai due testimoni, così come non si può dare nome e cognome alla bestia o ad altre immagini simboliche dell’Apocalisse. Se si facesse questa operazione si annullerebbe il simbolo perché, incarnato come diverrebbe in una figura specifica o in un evento specifico, non sarebbe più applicabile ad altre situazioni. Un personaggio, un regno, una nazione possono avere nella storia nomi differenti, ma i loro caratteri positivi o negativi riappaiono e sono sintetizzati proprio dal simbolo, dalle immagini spesso bizzarre con cui i simboli esprimono le caratteristiche su cui vogliono richiamare l’attenzione.
Per spiegare meglio, possiamo dire che nel simbolo troviamo espresse delle caratteristiche tipiche, ad esempio, del bene – bellezza, convivenza pacifica armonia, amore, comunione, ecc. – oppure del male – confusione, violenza, guerra, umiliazione, sopraffazione – che nella storia possono assumere tratti fisici diversi in epoche diverse. Quel che importa non è identificare anagraficamente questo o quello, ma avere in mano gli strumenti per esercitare il giudizio critico che, nella prospettiva dell’Apocalisse, spetta al discepolo di Cristo, il quale sempre deve osservare e vigilare per aderire al bene e allontanarsi dal male.
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