Cronaca di un cammino: Alla fine del viaggio

11/10/2019     Ombretta Pisano     7596

Alla fine del viaggio, dopo avere percorso tanta strada, è inevitabile tracciare un bilancio. Si torna a casa, si, ma uguali a prima oppure un po’ diversi? Si spera diversi, forse un po’ più forti e determinati a vivere bene il quotidiano, dopo avere toccato con mano, dopo avere verificato la concretezza di alcune convinzioni. Per esempio, quella della caducità del potere e della gloria terrena. L’abbiamo toccata con mano davanti a città grandiose di cui oggi si fa fatica anche solo a riconoscere una rovina. Città che nel passato non avevano nulla da invidiare alle nostre metropoli contemporanee, e che a un certo punto della storia sono state abbattute, saccheggiate, annientate. Alcune si sono rialzate, ma senza mai ripetere i fasti passati, altre sono andate perdute per sempre.

Ci sono poi le scoperte, o il significato nuovo di ciò che una volta sembrava ovvio, come il fatto che Gesù quando si metteva in viaggio per insegnare sapeva bene in qualche mischia si andava a gettare, e non lo temeva. Quante volte abbiamo immaginato i suoi viaggi e la sua predicazione avere luogo in territori semi-deserti e sempre con persone dimesse e povere, pastori, contadini o artigiani? In realtà Gesù si è mosso per andare in grandi città e in fiorenti villaggi dove, mischiata alla grande miseria, vi era anche la ricchezza (non è forse così anche oggi?) e dove la vita aveva una sua articolata complessità . La voce di Gesù non era più facilmente avvertibile allora di quanto lo sarebbe oggi. Per quanto meno inquinato acusticamente e visivamente, neanche l’ambiente del suo tempo consentiva un facile ascolto e la situazione ambientale non ha mai costituito, per lui, un alibi per evitare di muoversi, operare o parlare. Per lui gli impedimenti erano di altra natura: stavano nell’incredulità e nell’illusione dell’autosufficienza di chi incontrava.

Infine, una domanda riguarda la memoria. Abbiamo visitato luoghi in cui la memoria biblica poteva essere più o meno evidente. In diversi casi (soprattutto nelle zone al fuori del “centro” rappresentato da Gerusalemme, come ad esempio Cesarea Marittima, o Tiberiade) veri e propri scempi sono stati compiuti avendo in mente più il profitto che può derivare dal turismo che la cura vera e propria di un luogo di memoria. Possiamo lamentare una situazione analoga anche da noi, e ovunque il turismo (anche nella sua accezione più nobile, di viaggio per la conoscenza) venga visto solo come occasione di profitto e ricchezza materiale. Prima o poi un atteggiamento di questo tipo, che non fa attenzione alla memoria, oltre che alla materialità dei luoghi, porta alla loro decadenza e alla perdita della loro attrattiva. Ciò non significa che tutto debba essere mantenuto e ricostruito com’era in passato, ma che ogni intervento anche innovativo, oltre che conservativo, non deve perdere di vista la natura e il significato di quel luogo.

Se a questo discorso leghiamo la questione della memoria spirituale, il terreno diventa ancora più insidioso. Il viaggiatore/pellegrino che si è recato in Terra Santa più volte, notandone i cambiamenti e notando la superficialità cui sono costretti coloro che arrivano forse cercando qualcosa di importante, non può fare a meno di chiedersi il senso di un viaggio che anziché nutrire lo spirito finisce con  l’essere solo un “fast tour” che non soddisfa più nemmeno gli occhi.

Ritorna quella domanda: “che cercate”, “Chi cercate”? Forse qualcosa o qualcuno che, per quanti giri facciamo su questa terra, non arriveremo mai ad afferrare: la ragione stessa che incalza l’essere umano a intraprendere un viaggio. “Attanagliati dalla nostalgia dell’Altrove”, come dice uno studioso di fama, conoscitore e amante di questa terra come Franco Cardini. Lui parla di Gerusalemme, ma ciò che scrive può riguardare tutta la terra che noi chiamiamo “santa”: “Questa non è una città: questa è la vita di ciascuno di noi, che a volte c’illude e a volte ci fa disperare, a volte ci sembra irreale, a volte inutile. La nostra avventura interiore, il nostro eterno viaggio, la nostra vera crociata, è la conquista di un senso da dare alla vita. Questa è la Gerusalemme della quale abbiamo bisogno, alla quale aspiriamo.” (F. Cardini, Gerusalemme. Una storia, 2012).

E’ un gioco (serissimo) che sembra non finire mai, e che chiama a cercare avanti, nel futuro, e non più nel passato, questo senso. Cercare avanti, e non indietro, su cammini nuovi, e non sui passi di ieri, magari veramente e onestamente nostri, e non degli altri; cercare sulle nostre strade e nelle nostre grandi e contraddittorie città, quel Qualcosa (o Qualcuno) che sempre ci rimette in viaggio.