Articolo: La creazione dell'uomo e della donna secondo il midrash

19/12/2012     Maria Brutti     9503

Creazione e relazione uomo-donna nel midrash

1.  Cenni sui presupposti teorici del midrash

Questo lavoro si propone di considerare l'interpretazione rabbinica di un tema esegetico-biblico; quello della creazione e della relazione uomo-donna.

Prima però di entrare nel merito della questione, si ritiene necessario esplicitare, per vie molto generali, che cosa si intende per midrash. Nella vastità dell’argomento, delle sue accezioni e delle diverse interpretazioni che ne sono state date, mi riferisco a  quelle che mi sembrano più significative. Midrash (dalla radice darash) che vuol dire “ricercare”, indica la ricerca del senso del testo. Nella tradizione rabbinica la scuola, che è  il luogo della ricerca per eccellenza, si chiama: beit-ha-midrash, “la casa della ricerca”. Avril osserva che la lettura-ricerca è quella che occupa il primo posto nella letteratura rabbinica antica, in seguito alla riorganizzazione e alla redazione della tradizione orale, intrapresa a Javne dopo la distruzione del Tempio.[1] Kasher sottolinea il fatto che il midrash nasce dalla consapevolezza che la letteratura biblica è divina[2] e che ogni espressione, parola e lettera ha un significato. Dunque, la Bibbia può contenere numerosi e differenti livelli di significato, che possono essere ricercati e interpretati,[3] secondo il principio della molteplicità dei significati. Tuttavia questo principio, costitutivo del pensiero ebraico, sia nella Torâ scritta che in quella orale, potrebbe sembrare contraddittorio con la Parola di Dio, che nella tradizione ebraica è univoca, è sincronica.  La lettura di Es 20,18,[4] attraverso la interpretazione della espressione “le voci” ha fornito la giustificazione teorica alla molteplicità di senso. Secondo la prospettiva rabbinica, la voce di Dio è una pluralità di voci, non perché Dio dica tante cose, ma per il fatto che chi riceve queste voci ha una sua strada per vederle. E questo vale per qualsiasi tipo di interpretazione, sia scritta che orale, e per chiunque interpreti la Torâ, anche per uno studente della Yeshivà. Nella molteplicità delle interpretazioni, è però inserita anche la capacità di rinnovamento della interpretazione (chiddush), pur nella consapevolezza che tutto è stato già detto a Mosè al Sinai (vedi Talmud Yerushalmi, trattato Peah).[5]

Ricerca del significato e dimensione della creatività sono dunque tratti distintivi del midrash, la . la cui ulteriore definizione è comunque problema complesso che esula dai limiti di questa ricerca. Vorrei tuttavia brevemente ancora riferirmi alla relazione tra midrash e testo biblico, secondo quanto mi è stato suggerito dalla lettura di uno dei maggiori studiosi contemporanei. Boyarin sottolinea come la narrazione biblica sia “gapped and dialogical” e come il ruolo del midrash sia “to fill in the gaps”. Egli vede il midrash attraverso la categoria di “intertestualità”, cioè nel dialogo tra il canone e le interrelazioni interpretative e intertestuali esistenti tra le differenti parti del canone stesso con il codice intertestuale della letteratura rabbinica e ne riconosce il presupposto teorico nel midrash di Genesi Rabbah I:6:

R. Jehudah b. Shimon cominciò: Egli svela le realtà profonde e nascoste (Dan 2: 22). All’inizio della creazione del mondo: Egli svela le realtà profonde e nascoste. Poiché sta scritto: Dio crea il cielo, e non dà nessuna spiegazione. E dove la dà? Più avanti: Egli stende il cielo come un velo (Is 40: 22). Poi: E la terra, e non spiega. E dove dà la spiegazione? Più avanti, dice: Dalla neve caddi sulla terra (Gb 37:6). E Dio disse: Sia la luce, e non dà la spiegazione. E dove spiega? Più avanti: Ti avvolgi di luce come d’un manto (Sal 104:2)

R. Jehudah interpreta dunque il verso di Dan 2:22 e afferma che l’autore del mondo scelse, al tempo della creazione, di non dare spiegazione e che solo dopo ha rivelato qualcosa della sua verità. L’interpretazione è dunque qualcosa che si scopre nel tempo, nelle interrelazioni dei testi biblici. Il midrash continua ad usare i sensi nascosti nella Torâ e a sviluppare le loro interpretazioni.[6]

Nel midrash, che costituisce la successione della tradizione scritta, si possono inoltre indicare due linee di sviluppo: midrash halakah (=insegnamento normativo, norma), midrash haggadah (=applicazione).[7] Più in particolare, la spiegazione halakica, cioè vincolante in campo giuridico, fornisce una serie di dettagli che mancano nel testo biblico, allo scopo sia di costituire l’indicazione sul modo di assolvere determinate prescrizioni bibliche, sia di risolvere le contraddizioni presenti nei testi stessi. La spiegazione haggadica obbedisce a esigenze di intrattenimento, a necessità polemiche e apologetiche: è più libera, ma allo stesso tempo più legata alla tradizione.[8] In senso più ampio, il termine haggadah indica tutti gli insegnamenti della più antica letteratura rabbinica che non si occupa di aspetti normativi. Sierra distingue tre tipi di raccolte midrashiche ed individua il primo gruppo nei midrashim esegetici, nei quali il commento segue, con diverse interpretazioni, l’intero testo.[9] Il più antico e completo di questi testi è Genesis Rabbah, il commentario midrashico al Libro della Genesi,[10] che costituirà il punto di riferimento per lo sviluppo di questa breve ricerca.

2. La creazione e la relazione uomo/donna in Genesi Rabbah

La Bibbia  contiene due versioni del racconto della creazione.

La prima (Gen 1-2,4a) tratta della creazione del mondo in sei giorni: l'uomo è una delle opere, l’ultima opera. Il tratto distintivo di questa versione è la somiglianza tra Dio e l’uomo, che viene da Dio posto al vertice della creazione. L’uomo appare inserito pienamente nella realtà naturale.

In riferimento alla  creazione dell’uomo (Gen 1,26-27), tuttavia il testo presenta alcuni problemi:

a)      La forma plurale del verbo Facciamo (v. 26:)

b)      Il significato dell’espressione: “maschio o femmina li creò”.

c)      La parola “immagine” (ripetuta per due volte nello stesso verso)

La seconda versione della creazione (Gen 2,18-24) tratta quasi solo dell'uomo come creatura di Dio. Di lui vengono sottolineati alcuni aspetti: è fragile (è fatto con la polvere del suolo); sembra dipendere totalmente dal suo creatore (Dio lo "plasma" come un vasaio che dà forma all'argilla e gli dà un nome); ha bisogno di  “un aiuto che gli sia simile” (v. 18: dall’ebraico kenegdò: che sia di fronte a lui o che sia contro a lui). L’uomo categorizza, dà i nomi agli animali. Ha dunque la capacità di classificare, la quale lo distacca dagli animali. Ha quindi una sua dimensione di comunione con gli altri esseri viventi, ma anche di separatezza.

 Anche questo secondo testo tuttavia presenta alcuni problemi:

a)  Il v. 19 appare confuso e poco chiaro 

b) Poco chiaro anche  il modo con il quale Dio ha proceduto nella creazione della donna (la costola)

Nasce allora un interrogativo: i due racconti sono due versioni diverse della creazione dell’uomo oppure no?

Il midrash Genesis Rabbah VIII: 1)[11] si confronta con questi problemi.

E Dio disse: Facciamo un uomo.. (1:26). R. Johanan cominciò: «Da dietro (ahor) e da davanti (qedem) mi hai formato...» (Sal 139,5). Disse R. Jochanan: se l'uomo lo merita, gode di due mondi. È detto infatti: Per la fine dei tempi (ahor) e per il tempo presente (qedem), tu mi hai formato. Se no, dovrà render conto. E’ detto infatti: E poni su di me la tua mano  (Sal 139: 5). Disse R. Jeremiah b. Eleazar: quando il Santo, egli sia benedetto, creò il primo uomo, lo creò androgino. E’ detto infatti: Maschio e femmina li creò e chiamò il loro nome Adam (Gen 5: 2). Disse R. Samuel b. Nahman: quando il Signore creò Adam, lo creò a due facce. Lo creò e lo segò e ne risultarono due schiene, una di qua e una di là. Gli fu obiettato: eppure sta scritto: Gli tolse una delle costole (sal‘otaw) (Gen 2: 21)! Rispose loro: [uno] dei suoi lati! Tu leggi infatti: Per il secondo lato (sela’) del tabernacolo (Es 26:20)

Come osserva Stemberger[12], dato che Gen 1:26 non costituiva l’inizio di una  sezione settimanale (parashah), il capitolo comincia con un proemio, che collega Gen 1:26 al Sal 139:5, interpretato dal midrash in modi diversi. R. Jochanan intende il versetto in senso temporale e lo applica al tempo presente e alla fine dei tempi, quando verrà il giudizio attraverso la mano di Dio. R. Jeremiah b. Eleazar introduce il tema della creazione uomo/donna. Appoggiandosi al verso di Gen 5:2 (Maschio e femmina li creò), egli svolge l’idea antica della rappresentazione dell’uomo primitivo come uomo androgino, che riunisce in sé ambedue i sessi. Ma questo fa nascere un problema con il precedente “lo creò”, al maschile singolare. R. Samuel b. Nahman, ribadendo la stessa intepretazione, propone la concezione di due esseri umani strettamente saldati in uno, un uomo a due facce, che corrispondono a ciò che Dio ha formato davanti e dietro del Salmo 139:5, pure non citato espressamente. L’obiezione che la donna è tuttavia nata da una costola secondo il racconto di Gen 2:21 viene superata dalla risposta che costola (sela’) può significare anche “lato”, come indica Es 26:30. La donna è dunque uno dei lati dell’uomo androgino.[13]

Come nota Teugels, il mito dell’androgino primitivo diviso in due non è una invenzione rabbinica, ma risale alla mitologia greca. Esso è già presentato come una antica leggenda nella eulogia di Aristofane su Eros nel Symposium di Platone. Tuttavia i Rabbini lo adottarono per un preciso scopo ermeneutico: spiegare problemi testuali presenti nei due racconti della creazione, che sopra abbiamo segnalato. In particolare, Teugels nota come il doppio scambio da singolare a plurale in questi versi, che descrivono Dio come un “Noi” (Facciamo) e come “Egli” e l’umano come “lui” e “loro” ha sempre costituito un interrogativo per i lettori e gli interpreti della Bibbia. Numerose e diverse interpretazioni sono state perciò proposte nel tempo.[14]

Secondo Teugels, la risposta al problema si trova nel midrash di GenR VIII:9:

I minim chiesero a R. Simlai: Quante divinità crearono il mondo? Rispose loro: Io e voi interroghiamo i primi giorni. E’ detto infatti: Interroga pure i primi giorni... (Dt 4: 32). Non c'è scritto: Quando Elohim crearono l'uomo, ma: Quando Elohim creò l'uomo. Gli chiesero ancora: che significa il fatto che sia scritto: In principio Elohim creò (Gen 1,1)?. Rispose loro: non sta scritto In principio Elohim crearono, ma In principio Elohim creò il cielo e la terra.

Disse R. Simlai: ovunque tu trovi che c'è un appiglio per i         minim, trovi anche un punto d'appoggio contro di loro. Gli chiesero ancora: che significa il fatto che sta scritto: E Dio disse: Facciamo un uomo…? Rispose loro: Leggete quello che segue! Non sta scritto: Elohim crearono dunque l'uomo», ma Elohim creò dunque l'uomo (Gen 1: 27). Quando se ne furono andati, gli dissero i suoi discepoli: da loro ti sei difeso con il bastone, ma che cosa rispondi a noi? Disse loro: nel passato, l'uomo (adam) è stato creato dalla terra (adamah) ed Eva da Adamo, ma da ora in poi «a nostra immagine, a nostra somiglianza»: non uomo senza donna e non donna senza uomo ed entrambi non senza la Presenza.

Il midrash cerca di risolvere due problemi testuali, che vengono presentati a nome dei minim (=gli eretici, i settari). Il primo riguarda il nome di Dio: Elohim (=plurale di El) potrebbe far pensare a un plurale, a più divinita, come sembrano supporre i minim con la loro domanda iniziale. Il secondo è riferito a Gen 1:27, dove  adam sembra indicare un singolare: “lo creò”. Allo stesso tempo però si dice che: Lo chiamò maschio e femmina. La questione è resa ancora più complicata dal fatto che Gen 5:2, un verso strettamente parallelo a Gen 1:27 aggiunge che “Dio chiamò il loro nome adam”.

La risposta di R. Simlai si articola in due momenti. Rivolgendosi a un pubblico indifferenziato, egli smonta innanzi tutto il primo problema, facendo notare che il verbo che segue Elohim è sempre singolare, quindi anche il termine è un singolare.[15] Attraverso l’immagine dell’androgino, dà poi la soluzione: il singolare si riferisce all’uomo indifferenziato  del primo racconto e il plurale alla situazione successiva alla divisione, così come narrata nel secondo racconto.  Il secondo momento è costituito dalla risposta che R. Simlai dà ai discepoli, come sottolinea Teugels, “less literal but more philosophical”[16]:

Disse loro: nel passato, l'uomo (adam) è stato creato dalla terra (adamah) ed Eva da Adamo, ma da ora in poi «a nostra immagine, a nostra somiglianza»: non uomo senza donna e non donna senza uomo ed entrambi non senza la Presenza.

Nella concezione dell’uomo androgino, anche la donna è creata a immagine di Dio. Il problema dell’incongruenza dei due racconti sembrerebbe risolto, ma rimane ancora la obiezione rilevata in GenR VIII:1 riguardo alla creazione della donna dalla costola dell’uomo (Gen 2:21).  R. Samuel b. Nahman riesce ad integrare la “costola” nella sua versione del racconto. Usando la comune tenica ermeneutica di porre due versi, nei quali ricorre la stessa parola, uno accanto all’altro (gezerah shawah),[17] egli dimostra che sela’ non ha solo il significato di “costola”, ma anche di “lato”, lato del santuario, come si evince da Ex 26:30.

Ma se il midrash sembrerebbe così risolvere il problema dell’apparente creazione di una seconda donna, come sottolinea ancora Teugels, l’esistenza di una seconda creazione fa problema anche per la creazione dell’uomo, in relazione alla versione di Gen 2:7: Allora il Signore Dio formò l’uomo con la polvere (afar) della terra (adamah).

Di nuovo risponde il midrash:

R. Hunah disse: afar è maschile, mentre adamah è femminile: un vasaio prende polvere maschile e terra femminile, affinché i suoi vasi siano ben fatti (GenR 14:7).

Secondo la prospettiva di R. Huna dunque, il primo adam di Gen 2:7 non è un uomo, ma un umano. Attraverso l’attività midrashica, i rabbini riescono così ad armonizzare le due versioni della creazione, ma allo stesso tempo scoprono nel testo il significato più profondo della interrelazione uomo/donna.

Nel suo Commentario a Genesi Rabbah, Neusner osserva come R. Simlai, nella risposta ai minim, voglia soprattutto sottolineare un altro tema  e un’altra possibilità di significati, che collega il testo della creazione alla vita di Israele. La creazione dell’uomo costituisce così un paradigma per il matrimonio di un uomo ebreo e sua moglie.[18] Anche Boyarin riflette sull’androgino originario di GenR VIII:1. Introducendo nel discorso una sua particolare prospettiva, egli ricorda che altre interpretazioni midrashiche riprendono la tradizione secondo la quale adam  era uomo e da lui venne creata la donna: esse, interpretando la donna come una costruzione secondaria, sottolineano che la sessualità e la differenza sono essenziali piuttosto che complementari nella costituzione dell’essere umano. Anche la tradizionale cerimonia rabbinica del matrimonio, nel canto delle benedizioni segue la versione della “costola” e sottolinea la sessualità.[19]

Per Boyarin, nella cultura rabbinica, la razza umana è contrassegnata fin dall’inizio dalla corporeità, dalla differenza e dalla eterogeneità. Per i Rabbini, la sessualità appartiene allo stato originario dell’umanità. La lettura midrashica di GenR VIII:1 presenta l’uomo originario come “dual sexed, as two sexes joined in one body”. Anche la divisione del corpo androgino costruisce la sessualità.[20] Ancora in Genesi Rabba, Boyarin riconosce il fondamento rabbinico del matrimonio:

E Dio disse: Non è bene che l’uomo sia solo. E’ stato insegnato: Colui che non ha moglie è senza beni, senza aiuto, senza allegria, senza benedizione, senza espiazione… R. Hijjah b. Gamdah disse: Non è neppure un uomo completo, come è detto: Egli benedisse e chiamò il loro nome Adamo (Gen 5:2). E c’è chi dice che diminuisce l’immagine di Dio, così come è detto: Perché Dio ha fatto l’uomo a sua immagine (Gen 9:6). Che cosa sta scritto dopo? Voi crescete e moltiplicatevi (Gen 9:7). (GenR XVII: 2).[21]

Mi è sembrato particolarmente suggestivo il commento di Boyarin: “Il telos del matrimonio è un ritorno alla condizione di completezza e persino di Imago Dei nell’atto del matrimonio che ricostruisce la Divina Immagine secondo la quale l’originario androgino fu creato”.[22]

Conclusione

Numerosi altri testi midrashici propongono ulteriori riflessioni dei Rabbini sul racconto della creazione dell’uomo e della donna, a dimostrare, come fa notare Teugels, che non c’è una uniforme teologia dell’ebraismo: specialmente nel midrash aggadah: tradizioni e opinioni sono affermate una accanto all’altra, possono anche contraddirsi una con l’altra. In Genesi Rabbah, sempre a proposito della costola, sono presenti altre interpretazioni fortemente misogine.[23]

Tuttavia questo non significa che ogni cosa sia possibile nella interpretazione rabbinica e che il midrash “is entirely open-ended”.[24] La pluralità delle interpretazioni che, anche se per un davvero piccolo ambito, ho potuto conoscere da questo breve esame delle due versioni del racconto della creazione, mi ha comunque fatto intravedere questo affascinante, quasi travolgente mondo di ricerca di senso, “in un intreccio tra realtà e Scrittura in cui l’uomo è costantemente chiamato a misurare il proprio operato e i propri sentimenti”,[25] è chiamato in fondo a provocare continuamente un chiddush, una renovatio nel testo e, attraverso il testo, in lui stesso.

 



[1] La lettura ebraica della Scrittura, ed. Qiqajon (Comunità di Bose: 1984, 1989), 29-30.

[2]A questo proposito, c’è una lunga disputa rabbinica: tra Rabbi Aqivà e Rabbi Ishmael, in relazione alla contraddizione presente in due testi biblici :  Es 19,20 “Il Signore discese sul monte Sinai”; Es 20,2 “Voi avete visto che dal cielo ho parlato con voi”.  Sia Aqivà che Ishmael hanno una fede assoluta sull’origine celeste della Torah, ma è diverso il modo di intendere questa origine e, di conseguenza, la stessa ispirazione della scrittura. Per Rabbi Ishmael che la Torah viene dal cielo significa semplicemente che essa si è fatta udire dal cielo, non che essa sia discesa materialmente dal cielo sotto forma di tavole scolpite, sul monte Sinai. La Torah è certamente parola di Dio, ma tuttavia è anche parola umana, e perciò limitata, parola che parla il linguaggio provvisorio e storicamente condizionato degli uomini. Rabbi Aqivà, invece, sottolinea l’assoluto carattere trascendente della Parola. Per lui, sul monte Sinai si è verificata un’unione prodigiosa tra il cielo e la terra, cosicché il Signore è realmente disceso sul monte e Mosè, salendo sul monte, è realmente salito fino al cielo. Queste due diverse posizioni non sono state mai considerate  dalla tradizione rabbinica alternative ed esclusive una dell’altra, ma ambedue legittime, per non dire necessarie. Il concilio rabbinico di Jamnia, chiamato a dirimere la questione delle diverse opinioni di due rabbini viventi al tempo di Gesù, Hillel e Shammai, così concluse: “Queste e quelle sono le parole del Dio vivente”, vedi  A. Mello ed., Il dono della Torah. Commento al Decalogo di Es. 20 nella Mekilta di R. Ishmael (Citta Nuova Editrice: 1982, 24-25.  Vedi anche Boyarin, D., Intertexuality and the Reading of the Midrash (Indiana University Press: Bloomington & Indianapolis: 1990), 40, il quale usa l’espressione “implied author” a significare che la Bibbia presenta se stessa come un’opera divinamente ispirata o, in ogni caso, che i rabbini credevano fosse tale. 

[3]Kasher, R., ‘The Interpretation of the Scripture in Rabbinic Literature’, in M.J. Mulder ed., Mikra. Text, Translation, Reading and Interpretation of the Hebrew Bible in Ancient Judaism and Early Christianity (Fortress Press: Philadelphia 1988), 560.

[4] Riporto la traduzione letterale del verso, così come proposta da Rav Carucci Viterbi: “Tutto il popolo vedeva le voci (non i tuoni come in BIBBIA CEI), i lampi (o meglio la lava), il suono dello shofàr e il monte fumante. Il popolo temette e si fermò lontano.

[5]  Vedi  Benedetto Carucci Viterbi,  Introduzione all’ Ebraismo, appunti propri.

[6]Intertexuality and the Reading of the Midrash, 17. La traduzione di GenR I:6 è liberamente tratta da Federici ed., Commento alla Genesi (Berešit Rabbâ), 33. Tra i numerosi altri contributi sul tema, cito solo Gruenwald, I., “Midrash and the “Midrashic Condition”, in M. Fishbane ed., The Midrashic Imagination. Jewish Exegesis, Thought, and History (State University of New York Press: 1993), 6-22, il quale, sottolineando soprattutto la funzione cognitiva del midrash, cioè il bisogno dello scrittore di riferirsi al testo (vedi p. 21 nota 16), si pone due interrogativi: 1) Qual è il tipico intellettuale milieu che contribuisce alla interpretazione midrashica?; 2) Quali sono le forma di base del midrash?. Mi è parsa interessante come pista di riflessione l’affermazione che un testo scritturistico richiede attenzione interpretativa quando sembra aver perso la sua funzione di significato tra un certo gruppo di persone. In questa prospettiva, l’attenzione interpretativa aiuta il testo a recuperare significato, rilevanza e applicabilità (14).

[7]  Vedi Benedetto Carucci Viterbi, Introduzione all’ Ebraismo, appunti propri.

[8] Stemberger, G. .Il Midrash. Uso rabbinico della Bibbia. Introduzione, testi, commenti. (Edizioni Dehoniane: Bologna 1992), 28-29. Non appofondisco il tema per esigenze imposte dai limiti di tempo e dalle caratteristiche di questo lavoro.

[9] Sierra, S.J., La lettura ebraica delle Scritture (EDB: Bologna 1996), 12.

[10] Vedi  J. Neusner ed., Genesis Rabbah. The Judaic Commentary to the Book of Genesis. A New American Translation, vol. I. Parashiyyot One throught Thirty-Three on Genesis1:1 to 8:14, Brown Judaic Studies 104 (Scholars Press: Atlanta Georgia 1985), ix-x.

[11] Per la traduzione italiana, vedi G. Stemberger, Il Midrash, 119-120 e  T. Federici ed., Commento alla Genesi (Berešit Rabbâ). Introduzione, versione e note di A. Ravenna  (UTET: 1978, 1998) con alcune rielaborazioni personali.   

[12] Il Midrash, 127-128.

[13] Il Midrash. Uso rabbinico della Bibbia. Introduzione, testi, commenti, 128.

[14]Vedi ‘The creation of the human in rabbinic interpretation”, in G.P.Luttikhnizen ed., The creation of  Man and of Woman. Interpretations of the Biblical Narratives in Jewish and Christians traditions  (Brill: Leiden-Boston-Köln 2000), 109. Una particolare interpretazione è quella, riportata con  numerose varianti, secondo la quale il plurale si riferirebbe a Dio e agli angeli con I quali Dio discusse la creazione dell’adam (TB Sanh 38b; GenR (:3-4). Tuttavia dopo il periodo rabbinico, studiosi ebrei, come Saadiah Gaon, si distanziarono da  questa interpretazione in quanto vedevano in essa una pericolosa interpretazione politeistica , in relazione all’intepretazione cristiana del verso, che applicava il “noi” a Dio e al Figlio, vedi Teugels, 110 nota 13.  Osservo che oggi, nella esegesi cattolica fondata sul metodo storico-critico, l’espressione “Facciamo” è generalmente interpretata come plurale deliberativo o plurale majestatis   (ma qui potrebbe ancora entrare l’idea della corte celeste).

[15] Stemberger, Il Midrash. Uso rabbinico della Bibbia. Introduzione, testi, commenti, 131.

[16]Teugels,  ‘The creation of the human in rabbinic interpretation’, 111.

[17] Vedi Carucci Viterbi, B., ‘Le regole ermeneutiche per l’interpretazione del testo biblico: Torah scritta e Torah orale’, in  S.J. Sierra ed., La lettura ebraica delle Scritture, (EDB: Bologna 1996), 89 dove si sottolinea che in questa regola ermeneutica il ragionamento procede per analogia. La regola può essere utilizzata “quando compaiono due espressioni uguali nel testo biblico, anche lontane tra loro, attraverso una delle quali si spiega il contesto e l’applicazione dell’altra”.

[18]  Neusner ed., Genesis Rabbah, 82.

[19]Boyarin, D., Carnal Israel. Reading Sex in Talmudic Culture (University of California Press: Berkeley, Los Angeles, Oxford 1993), 42-45.

[20] Boyarin,Carnal Israel, 45.

[21] Testo italiano, liberamente tratto da Federici ed., Commento alla Genesi (Berešit Rabbâ), 133-134.

[22] Testo liberamente tradotto da Boyarin, Carnal Israel, 46.

[23] Ad esempio, GenR XVII: 8; XVIII:2. Vedi Teugels, ‘The creation of the human in rabbinic interpretation’, 122-125.

[24]‘The creation of the human in rabbinic interpretation’, 126.

[25] Momigliano, G., ‘L’interpretazione omiletica: il Midrash haggadah’, in S.J. Sierra ed., La lettura ebraica delle Scritture, 145.