Mons. Giuseppe Chiaretti arcivescovo di Perugia
Italia 04/10/1996
All'inizio del nuovo anno scolastico e pastorale sento il bisogno di fare con voi, catechisti parrocchiali, qualche riflessione sul dialogo ecumenico e sul dialogo interreligioso oggi, senza alcuna pretesa di compiutezza. Penso che questo discorso possa interessare, con le debite precisazioni, anche gli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche; e quindi estendo ad essi la mia esortazione.1Non ne parlo solo perché mi trovo a ricoprire l'incarico di presidente del Segretariato CEI per l'ecumenismo e il dialogo, ma perché lo esigono la verità anche religiosa e il bisogno di un approccio nuovo nel dialogare, sia tra credenti con fedi diverse che con i non credenti, su problemi di fede, in una società sempre più multiculturale e multireligiosa.
Ne parlo anche perché la città di Perugia che, per i suoi trascorsi storici e per la presenza d'una Università per gli stranieri, si caratterizza sempre più come città aperta alla cultura della pace e della tolleranza, ci offre continue occasioni per le varie forme di dialogo.
Intanto vorrei subito salutarvi uno ad uno e ringraziarvi per il servizio che rendete particolarmente ai piccoli e ai giovani, e in genere alla comunità cristiana, della cui missione educativa vi fate interpreti fedeli e generosi. Di questa fedeltà alla Chiesa e al suo insegnamento autentico in materia di fede e di morale dovete sempre fare chiara professione: per onestà intellettuale, perché nel vostro servizio è l'insegnamento autentico della Chiesa cattolica che voi dovete trasmettere, e non le vostre opinioni; per serietà e competenza professionale, che esige rispetto degli impegni assunti nel momento in cui vi è stato affidato un incarico dei più delicati; per coerenza personale con la vostra identità di credenti. Sapete che, dal punto di vista ecclesiastico, il servizio dei catechisti rientra nel quadro della "ministerialità laicale" e in tale veste la Chiesa vi manda, dopo avervi aiutato nella doverosa formazione spirituale, culturale e didattica. Anzi la Chiesa chiede un continuo sforzo di aggiornamento e di formazione, sia perché cambiano metodi e strumenti, sia perché nascono problemi nuovi, o nuovi approcci a problemi antichi, sui quali occorre essere pronti a rispondere.
Va pure detto che in un contesto storico-sociale ormai planetario la fede cristiana vissuta nella storia non può non incontrarsi con altre tradizioni religiose e culturali, con le quali o ci si confronta e si dialoga, o ci si scontra rovinosamente. Si può ricordare quel che i vescovi italiani dicevano già nel 1970 nel documento Il rinnovamento della catechesi:
“Nello sviluppo dell'educazione cristiana oggi assumono particolare importanza tre problemi della vita della Chiesa, che la catechesi deve attentamente considerare: il movimento ecumenico, l'attività missionaria, i rappotti con coloro che non hanno nessuna fede. Il movimento ecumenico, e cioè l'insieme delle "attività e iniziative che, a seconda delle varie necessità della Chiesa e opportunità dei tempi, sono suscitate e ordinate a promuovere l'unità dei cristiani", è un segno dei tempi da sostenere con viva sensibilità. La catechesi educa ad evitare parole, giudizi e opere che non rispecchiano la vera condizione dei fratelli cristiani oggi "ritrovati" [è l'espressione usata dalla Ut unum sint n. 41]; porta a conoscere la loro storia e il loro pensiero; richiede una testimonianza più chiara della propria fede; invita alla preghiera; guida a comprendere le iniziative del dialogo che si sviluppano; sollecita ciascuno alla collaborazione...” (Db 49: ECEI 1/2518-2520).
1. il dialogo
È di questo problema specifico che intendo parlare nella mia esortazione pastorale, e non di altre questioni pur importanti. Il dialogo, o discorso tra persone, è la parola (lògos) messa tra due persone diverse (dià) per unirle. E certamente, prima di tutto, un evento veritativo e conoscitivo, ma non è solo questo. Del dialogo hanno parlato ampiamente Paolo VI nella Ecclesiam suam (EV 2/163ss) e il concilio in vari documenti. Dello specifico "dialogo ecumenico" ha trattato magistralmente Giovanni Paolo Il nella Ut unum sint, collegandolo al pensiero personalistico odierno e definendolo un “passaggio obbligato del cammino da percorrere verso l'autocompimento dell'uomo”. Ne ha messo in rilievo la “dimensione globale ed esistenziale”, che “coinvolge il soggetto umano nella sua interezza”, situandosi “al livello della natura della persona e della sua dignità”; di conseguenza, “non è soltanto uno scambio di idee; in qualche modo è sempre uno scambio di doni” (28).
Per il dialogo ecumenico ci sono precise condizioni: “quando si inizia a dialogare, ciascuna delle parti deve presupporre una volontà di riconciliazione nel suo interlocutore, di unità nella verità”; per questo “le manifestazioni del reciproco contrapporsi devono sparire” (29).
In questo senso il dialogo “è diventato una necessità dichiarata, una delle priorità della Chiesa” (31), che funge da “esame di coscienza” e spazio “di conversione” (33-35), e da “strumento naturale per mettere a confronto i diversi punti di vista, e soprattutto esaminare quelle divergenze che sono di ostacolo alla piena comunione” (36).
Con il dialogo si vengono a conoscere “differenti formulazioni” della dottrina della fede, a volte “compatibili” tra loro, e quindi espressive della “insondabile ricchezza della verità” (37-38), ma anche “non compatibili” perché le divergenze “toccano la fede” (39). “Il dialogo ecumenico, che stimola le parti ad interrogarsi, capirsi, spiegarsi reciprocamente, permette inattese scoperte. Le polemiche e le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a scrutare la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni”
(36): e ne sono nate teologie divaricanti. Per amore della verità, tuttavia, che è “la dimensione più profonda di una autentica ricerca della piena comunione”, occorre evitare “ogni forma di riduzionismo o di facile concordismo”. “Le questioni serie - ammonisce il papa - vanno risolte perché, se non lo fossero, esse riapparirebbero in altri tempi, con identica configurazione o sotto altre spoglie” (36).
Gli atteggiamenti interiori che più ritornano nelle parole del papa sono: amore della verità, carità, umiltà, e anche lealtà, correttezza, rispetto della propria e dell'altrui coscienza.
Ho indugiato nel riepilogare le caratteristiche del dialogo ecumenico come proposte nella Ut unum sint, sia per mostrare la natura e il rigore, sia per distinguerlo dal “dialogo interreligioso”, che è solo o prevalentemente conoscenza reciproca e riconoscimento rispettoso dell'altro.
Se “l'ecumenismo autentico è una grazia di verità”, il dialogo ecumenico è un evento di grazia in cui parla lo Spirito. Possiamo correttamente intendere il “lògos” del dialogo come il Verbo di Dio che era “in principio” (Gv 1,1). Volendo comprendere meglio questo dinamismo di grazia riesce utile paragonarlo alla vicenda dei due discepoli di Emmaus, stanchi sfiduciati delusi, tra i quali a un certo momento cammina Gesù, il lògos di Dio, la Verità. Si apri tra loro un dialogo, che fu rivelatore della Verità e rigeneratore di speranza e di coraggio.
Non dobbiamo quindi intendere il dialogo come una forma di cedimento, quasi una svendita della fede, o della propria identità. E vero invece, come dirò anche in seguito, che non può esserci serio dialogo con arricchimento reciproco se non c'è chiarezza della propria e dell'altrui identità. Diceva Martin Buber: “Quando due persone dialogano con sincerità, una di loro è Dio”.
Dobbiamo pensare al dialogo come a un atto di coraggio profetico, al quale è chiamata la Chiesa del terzo millennio. L'ecumenismo, come ricerca dell'unità e della comunione di tutti i cristiani, deve necessariamente avvalersi di strumenti quali il dialogo e la ricerca, che strutturano per altro non solo i rapporti intraecclesiali, ma anche quelli sociali e civili. La Chiesa oggi può farsi "segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano", com'è richiesto dalla sua stessa ragion d'essere (LG 1: EV 1/284), solo aprendosi coraggiosamente all'ecumenismo. Per questa via l'ecumenismo diventa una grande pedagogia e uno stile di presenza dialogante anche all'interno della società, la quale va facendosi sempre più complessa e problematica con tensioni difficili a controllarsi (fondamentalismi, integralismi, razzismi, antisemitismi, esclusioni e emarginazioni d'ogni genere).
2. Alcune precisazioni terminologiche
- Si ha ecumenismo quando si dialoga e ci si confronta tra cristiani, e cioè tra credenti in Cristo, che professano lo stesso credo nel Dio trinitario e nella Chiesa, anche se appartenenti alle tre confessioni classiche: i cattolici, gli ortodossi, i protestanti o evangelici (con le loro molteplici denominazioni storiche o risvegliate: luterani, riformati, valdesi, metodisti, battisti, avventisti, pentecostali e carismatici in genere, e anche anglicani). La parola "ecumenismo" vuol dire "ricerca insieme della casa comune", che è poi la comunione piena in Cristo.
* Con l'ebraismo si ha un dialogo a parte, dal momento che esso è la "radice santa" della stessa fede cristiana, con la quale abbiamo in comune la rivelazione profetica e i libri dell'Antico Testamento.
* Con l'islamismo c'è un altro specifico dialogo, perché c'è un qualche collegamento tra l'islam, la rivelazione mosaica e la fede di Abramo. I musulmani riconoscono Gesù come grande profeta, anche se non come figlio di Dio; tributano anche una qualche venerazione a Cana, la madre di Gesù.
- Si ha invece dialogo interreligioso quando si dialoga e ci si confronta con altre religioni storiche (buddisti, taoisti, induisti, confuciani, religioni naturali d'Africa e d'America ecc.).
Di tutti questi rapporti ha parlato con grande chiarezza il concilio Vaticano Il con la costituzione conciliare Lumen gentium ai nn. 13-16 (EV 1/318-326), il decreto sull'ecumenismo Unitatis redintegratio (EV 11494ss) e la dichiarazione Nostra aetate (EV 11853ss).
- Il dialogo con i non credenti, o dialogo inter culturale, è anch'esso urgente e necessario. Noi sappiamo che Dio lavora nella coscienza di tutti e tutti chiama a salvezza in Gesù, nel rispetto della libertà di ognuno. I grandi temi della felicità, della ricerca di senso, del dolore, della giustizia, del male morale, della fraternità... inquietano ogni coscienza. Dio per i non credenti è al culmine più di un'attesa che di un bisogno avvertito, più di un ideale che di una percepita necessità.
La Santa Sede per sostenere i vari dialoghi ha dato vita a organismi separati: il Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, al cui interno opera la Commissione per i rapporti religiosi con 1 'ebraismo; il Pontficio Consiglio per il dialogo interreligioso, da cui dipende la Commissione per i rapporti religiosi con i musulmani. La Conferenza episcopale italiana ha dato vita al Segretariato per I 'ecumenismo e il dialogo.
3. Le sette e i nuovi movimenti religiosi"
La parola "setta", che significa gruppo chiuso, piuttosto fanatico, che non comunica, ha già in sé una connotazione negativa. In ambito scientifico si preferisce parlare, più correttamente, di "nuovi movimenti religiosi". Quello delle sette o dei nuovi movimenti religiosi è un fenomeno in crescita, che sta modificando il panorama religioso e culturale di molte regioni del mondo, anche della nostra Italia, e interessa pure l'Umbria e la diocesi di Perugia.
Le sette sono aggregazioni che hanno nulla o poco a che fare con il cristianesimo, anche se alcune di esse partono dalla Bibbia e dal Vangelo, letti per lo più in modo arbitrario, "fondamentalista" (e cioè meccanicamente letterale), ma finiscono per negare la divinità di Gesù Cristo, il mistero trinitario, e molta parte del credo cristiano; o, se non negano qualcuna di queste verità, rifiutano ogni dialogo. Per questo sono considerati setta, ad esempio, i Testimoni di Geova, o i seguaci di Moon, che attualmente si presentano sotto la denominazione "Federazione interreligiosa per la pace nel mondo".
Non è facile classificare queste varie realtà. Uno studioso, Massimo Introvigne, le raggruppa in quattro categorie:
1) i gruppi di origine "pentecostale", fondamentalisti, apocalittici, miracolistici, fortemente proselitisti e critici delle chiese e delle denominazioni cristiane storiche;
2) le sette in senso stretto, quali Testimoni di Geova, Mormoni, seguaci di Moon, Chiesa neoapostolica e loro filiazioni, anch'esse fortemente avverse alla Chiesa cattolica. Possiamo qui collocare anche il recente fenomeno della New Age, sincretista e areligioso, che sta diventando una moda da carta "patinata";
3) i gruppi di origine orientale, quali gli Hare Krishna, gli "arancioni" di Rajnesh, i seguaci di Sai Baba e simili, portatori delle idee sulla reincarnazione;
4) i movimenti magici, spiritisti, satanisti, piccoli ma molto attivi. E purtroppo vero che molti studenti, anche di classi inferiori, per gioco o per curiosità, ma anche per una irrazionale compiacenza, si dedicano ad attività di questo genere, che non sono affatto innocue.
A queste sette sono da aggiungere anche i vari gruppi che si formano a getto continuo intorno a visionari e santoni, vari nei contenuti, ma sempre caratterizzati da proselitismo e da spirito settario, con una capacità di "plagio" notevole, specialmente sui giovani.
Con le sette e i nuovi culti non c'è sinora alcuna forma di incontro e di dialogo, ma non ci si può fermare alla sola condanna: il loro proliferare deve spingerci a operare più seriamente per la nuova evangelizzazione e a dare risposte concrete aitanti bisogni insoddisfatti di chi visi rifugia. Grande ignoranza della propria fede cristiana, insieme a un vivo bisogno di rapporti più autentici, paura del futuro, ricerca di forti emozioni, bisogno di sicurezze immediate, rifiuto della "croce"... sono all'origine di questa fuga nell'irrazionale, che travolge anche i cristiani, i quali più che "credenti" sembrano essere "creduloni", al pari di tanta gente culturalmente provveduta e tuttavia credulona.2 Diceva Chesterton: “Quando l'uomo non crede più in Dio, è disposto a credere in tutto”.
Anche nella nostra diocesi si segnala la presenza di sette e di nuovi movimenti religiosi e dobbiamo prepararci a contestare serenamente ma lucidamente le disinformazioni talora propalate ad arte, a testimoniare e a far ben conoscere la fede cristiana. A tal fine, però, occorre essere preparati, e cioè ottimi conoscitori della propria fede e delle fedi altrui, per non fare interventi fuori misura e controproducenti.
Si può ricordare, a questo proposito, quel che scrive il Catechismo degli Adulti: “La Chiesa cattolica considera la crescita dei "nuovi movimenti religiosi" una seria sfida pastorale. Sente il dovere di mettere in guardia dalle conseguenze nocive che può produrre nelle coscienze il loro proselitismo, a volte aggressivo. Per dare risposta adeguata al bisogno di significato e di intensa esperienza spirituale, avverte l'esigenza di annunciare Gesù Cristo, unico salvatore dell'umanità, di offrire testimonianze coraggiose di carità, di proporre spazi di contemplazione e gioia spirituale” (Cd4 472).
4. Necessità e urgenza del dialogo ecumenico
Quanto sia importante e urgente l'ecumenismo, - e, per connessione, lo stesso dialogo interreligioso e culturale -' ce lo va ricordando il papa con particolare insistenza, facendo continuo appello alla "fedeltà al concilio". Tutti i documenti del concilio sono attraversati dalla problematica e dalla prospettiva ecumenica. Dice il papa: “La ricerca dell'unità e la preoccupazione ecumenica sono una dimensione necessaria di tutta la vita della Chiesa... La Chiesa cattolica è impegnata nel movimento ecumenico con una decisione irrevocabile... Per me, vescovo di Roma, ciò costituisce una delle priorità pastorali. Questo movimento è suscitato dallo Spirito Santo” (Discorso alla Curia Romana, 28.6.1985). “L'impegno ecumenico è un imperativo della coscienza cristiana, illuminato dalla fede e guidato dalla carità” (UtUS 8); ed è anche una “via senza ritorno”, inevitabile anche se rischiosa e complessa, un percorso “irreversibile” (UtUS 3).
“Tra i peccati che esigono un maggior impegno di penitenza e di conversione - scrive il papa nella Tertio millennio adveniente - devono essere annoverati certamente quelli che hanno pregiudicato l'unità voluta da Dio per il suo popolo... L'avvicinarsi della fine del secondo millennio sollecita tutti ad un esame di coscienza e ad opportune iniziative ecumeniche, così che ai grande giubileo ci si possa presentare, se non del tutto uniti, almeno molto più prossimi a superare le divisioni del secondo millennio. E necessario al riguardo, ognuno lo vede, uno sforzo enorme!” (n. 34). Al papa attuale si deve, in campo cattolico, quella particolare "accelerazione ecumenica" che ha trovato espressione in tre impegnativi documenti in appena sei mesi (Tertio millennio adveniente [TMA], Orientale lumen, Ut unum sint), e ha permeato di sé la preparazione del grande giubileo del 2000, inteso come provvidenziale occasione per una nuova evangelizzazione.
Non si può fare buona evangelizzazione, però, se non si fa serio ecumenismo. La preghiera di Gesù: “Che siano, Padre, una cosa sola perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21) sta a dire che le divisioni tra i credenti in Cristo sono quanto mai deleterie, perché impediscono di credere nella natura divina di Gesù e nella origine divina della sua missione. E questo avviene perché il Vangelo non avrebbe, da parte di chi fa ad esso riferimento, quel sigillo di autenticità che è l'amore nel segno della croce, e cioè un amore a oltranza, un amore che può venire solo da Dio. Si realizza con ciò il criterio paolino del “fare la verità nella carità” (Ef 4,15); quando la verità si dispiegherà pienamente nella comunione e nel servizio, allora si realizzerà quell'unità testimoniante che consentirà ai "mondo" di credere (cf. Evangelii nuntiandi77: EV 5/1704s; UtUS 98).
“Credere in Cristo - dice il papa - significa volere l'unità; volere l'unità significa volere la Chiesa; volere la Chiesa significa volere la comunione di grazia che corrisponde al disegno del Padre da tutta l'eternità” (UtUS 10). Il che significa, ancora una volta, che i missionari più credibili e gli ecumenisti più seri sono coloro che vivono secondo il Vangelo e quindi sperimentano al massimo grado possibile la comunione di grazia. Per questo l'ecumenismo più incisivo e più valido, a tutti e subito possibile, è quello spirituale, fatto di preghiera, di rispetto, di carità, di “scambio di doni” spirituali, di accettazione e di ascolto reciproco, di studio serio, di dialogo..., anche perché è lo Spirito Santo “l'agente principale della nuova evangelizzazione” (TMA 45), come è pure l'artefice dell'unità dei cristiani. E tale unità è grazia donata a chi la chiede con insistenza (cf. TMA 34)~3
Anche i vescovi italiani scrissero dopo il convegno di Loreto (1985):
“L'ecumenismo si presenta non come un'attività fra le altre, ma come una dimensione fondamentale di tutte le attività della Chiesa” (La Chiesa in Italia dopo Loreto 26: ECEI 3/2670). E dopo il convegno di Palermo hanno ribadito: “Dobbiamo intensificare il dialogo ecumenico con i fratelli cristiani delle altre Chiese e comunità ecclesiali, aiutandoci a crescere gli uni gli altri nella verità e nella carità” (Con il dono della carità dentro la storia 22).
5. Premesse culturali per educare all'ecumenismo
Se l'ecumenismo non è un optional, ma un dovere inderogabile della Chiesa, occorre dare una chiara prospettiva ecumenica alla catechesi e all'insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Bisogna cioè porsi come obiettivo fondamentale quello di educare le coscienze all'impegno per l'unità e la comunione dei cristiani. Ricordiamo i criteri di fondo già indicati dal concilio Vaticano Il nel decreto Unitatis redintegratio, così identificati nell'uso pastorale:
1) distinguere sempre la sostanza della verità cristiana dal suo rivestimento espressivo. La parola di Dio, con la rivelazione della sua verità e della sua volontà, arriva a noi attraverso parole umane, che sono quelle del tempo e dell'ambiente in cui sono state scritte e che vanno quindi bene interpretate con l'aiuto dello Spirito e della Chiesa. E un criterio che ci consente di avvicinarci correttamente alla Bibbia, evitando il rischio mortale del fondamentalismo; ma è anche un criterio ermeneutico dello stesso ecumenismo, nel senso che molte difficoltà nascono da teologie e da linguaggi diversi, che non sempre hanno un valore assoluto. Ed è qui che devono molto lavorare i teologi per vedere quel che ci unisce, nonostante la diversità di linguaggio, e quel che ci divide realmente. E sempre molto di più quel che ci unisce rispetto a quel che ci divide;
3 Per saperne di più sull'ecumenismo (storia, natura. motivazioni, metodi...), oltre alla lettura dell'enciclica Ut unum sint, rimando a libri di facile consultazione: E. BROMURI, L'Ecumenismo, Ed. Ancora 1991, pp. 300; L. SARIORI, L'uniti dei cristian L - Commento al decreto conciliare sull'ecumenismo, Ed. Messaggero-Padova, 1993, pp. 144; H. Sci't~, La Chiesa nella comprensione ecumenica, Ed. Messaggero-Padova 1995, pp. 120. Anche il Segretariato CEI per l'ecumenismo e il dialogo pubblicò nel 1990 una nota pastorale su Lafonnazione ecumenica nella Chiesa particolare (ECEI 4/2187ss): ad essa si rimanda. Può essere utile ricordare che nella diocesi di Perugia il movimento ecumenico èvivo e operante già da molto tempo, con la presenza dialogante di sacerdoti nell'Università per stranieri (mons. Bruno Franegiani, mons. Elio Bromuri...), con il Centro ecumenico San Martino e con l'Ostello della gioventù. In Umbria una nascosta ma preziosa attività ecumenica è stata svolta, a partire dagli anni '20, dalla Comunità dell'Eremo di Campello sul Clitunno con sorella Maria Pastorella. In Italia ha svolto opera pioneristica dagli anni del Concilio il Segretanato per le attività ecumeniche (SAE), fondato e diretto con infaticabile dedizione dalla professoressa Maria Vingiani.
2) aver presente il principio conciliare della “gerarchia delle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana” (UR lì: EV 1/536). Il fondamento indiscusso e indiscutibile è Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo: tutto parte da lui e tutto converge verso di lui. E prioritario ciò che tocca direttamente il mistero e la lunzione salvifica di Cristo (ordine dei fini: il Credo o simbolo apostolico); è derivato, pur se importante ed essenziale, ciò che su di esso è fondato (ordine dei mezzi: la struttura organizzativa della Chiesa, l'articolazione dei mezzi di santificazione, la liturgia, la disciplina ecclesiastica...);
3) avere il "senso della storia", che continuamente si evolve e non pretende che l'unità significhi necessariamente uniformità secondo un unico modello culturale; di conseguenza anche la Chiesa nel suo farsi storico (acculturazione e inculturazione) si evolve ed esprime pluralità. Per poter essere Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, si richiede, per i cattolici, l'unità sostanziale nella fede con l'unicità del Credo, l'accettazione dei sacramenti come mediazioni storiche dell'azione salvifica di Dio, la convergenza intorno alla guida autorevole degli apostoli con Pietro. Il modo concreto di organizzare la Chiesa di Cristo può tuttavia legittimamente diversificarsi a seconda dell'ambiente, della cultura, dei condizionamenti storici, come ben dimostrano le Chiese cattoliche di rito orientale.
4) creare sempre rapporti di dialogo e non di polemica, riconoscendo i valori autentici di cui ognuno è portatore così come ha esortato a fare il decreto sull'ecumenismo: “E necessario che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati... Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene fatto in essi, può contribuire alla nostra edificazione” (UR 4: EV l/515s; cf. anche UtUS 47-48). Occorre perciò rifiutare decisamente, da una parte e dall'altra, gli anacronistici comportamenti legati all'uso di scomuniche reciproche. Scrive il papa nel suo libro Varcare la soglia della speranza:
“Non potrebbe essere che le divisioni siano state anche una via che ha condotto e conduce la Chiesa a riscoprire le molteplici ricchezze contenute nel Vangelo di Cristo e nella redenzione da Lui operata?” (p. 167).
La divisione in sé, però, non è una ricchezza, soprattutto se accompagnata da rancore o dalla volontà di legittimarla e di mantenerla, in contrasto con l'esplicita volontà di Cristo. Il dialogo è, quindi, la via obbligata per il superamento delle divisioni in obbedienza allo Spirito. Ma il dialogo esige che chi lo affronta conosca i contenuti della sua fede e della fede altrui, sappia cogliere analogie e differenze, non banalizzi le difficoltà, cerchi un avvicinamento di posizioni possibile e progressivo in doverosa armonia con il ministero petrino (= papale), che è ministero di unità. “Compito di Pietro, infatti, è quello di cercare costantemente le vie che servono al mantenimento dell'unità” (p. 168).
Chi per ignoranza o per faciloneria pensasse a un ecumenismo emotivo e irenico farebbe danni non meno d'una persona ostinatamente polemica e ostile. Credo che l'ecumenismo sia davvero un'ascesi e un'arte pastorale saggia ed equilibrata, che richiede umiltà, pazienza, coraggio, costanza, sacrificio.4 Soprattutto richiede preghiera continua e insistente, perché “l'unità, in definitiva, i dono dello Spirito Santo” (TMA 34), e sarà lui, che fa nuove tutte le cose, a dare sbocco positivo alle nostre fatiche.
6. Qualche indicazione pratica per il dialogo ecumenico
Ai catechisti e agli insegnanti di religione cattolica, ai quali è indirizzata questa mia esortazione d'inizio d'anno, torno a ripetere che oggi è necessario acquisire una mentalità dialogica ed ecumenica non solo quando trattiamo con persone d'altra fede religiosa o di nessuna fede religiosa, ma anche quando in parrocchia i catechisti espongono la fede cristiana cattolica ai battezzati, ragazzi o adulti che siano. Dobbiamo crescere tutti insieme in questa nuova ottica ecclesiale! In questa sede parlo solo, come già detto, dell'accoglienza e del dialogo ecumenico e interreligioso, e non delle diverse e complesse problematiche dell'ecumenismo e dell'incontro con altre religioni non cristiane.
Valgano alcune osservazioni spicciole.
Ci sia sempre rispetto per le persone e le loro coscienze rettamente formate. Mai nessuno venga offeso per i suoi convincimenti religiosi, ma sia sempre accolto e trattato come fratello, che è stato creato e amato da Dio come ciascuno di noi. Si educhino i cristiani al rispetto e all'accoglienza sincera di persone di altra fede religiosa, sollecitandoli a vivere con coerenza e a testimoniare con gioia la propria fede. Diceva Paolo VI nel discorso di apertura della 2' sessione del concilio, il 29 settembre 1963: “Il nostro linguaggio verso i fratelli separati vuol essere pacifico e assolutamente sincero e leale; non nasconde insidie... Non vogliamo fare della nostra fede motivo di polemica verso di loro” (EV 1/180*).
Si faccia molta attenzione al linguaggio che, anche senza volerlo e senza avvedersene, può risultare offensivo ogniqualvolta si ripetano luoghi comuni e si formulino giudizi senza seria conoscenza. Diceva già Il rinnovamento della catechesi: “Si evitino e si educhi ad evitare parole, giudizi e opere che non rispecchiano la vera condizione dei fratelli cristiani non cattolici”. E necessaria particolare vigilanza perché siano sradicati tutti quei pregiudizi che sono contrari alla serenità, alla obiettività, alla verità (n. 49: ECEI 1/2520).
Si faccia anche opera di rilettura critica delle stesse vicende storiche dell'una e dell'altra parte, avvalendosi delle ricerche più aggiornate, in maniera da sfatare la congerie di luoghi comuni e di pregiudizi che hanno alimentato e continuano ad alimentare polemiche inutili e offese grossolane alla verità. E risaputo che molte tensioni fra cristiani nascono da contrasti ideologici, politici, etnici, addirittura economici; da culture, linguaggi, sistemi di pensiero diversi; da conflitti tra persone e istituzioni per malintesi o per lotte di potere... Da questo magma di umane passioni sono nati sistemi teologici (apparentemente) irriducibili tra loro. L'operazione culturale di rilettura critica, propria della scuola, concorre perciò a facilitare il dialogo ecumenico e interreligioso.
Se nell'ora di religione cattolica a scuola, o negli incontri di catechismo, persone di altre confessioni cristiane o di altre religioni dovessero, per varie ragioni, partecipare, siano accolte con rispetto, chiedendo anche collaborazione per conoscere più da vicino la loro fede. Si eliminino accenti inutilmente polemici e si aiutino i cattolici ad entrare nella nuova dimensione religiosa oggi richiesta dal dialogo e dalla tolleranza. Ci si sforzi di accettare, comprendendola, la nuova situazione di convivenza interreligiosa e interculturale, visto il progressivo afflusso di immigrati, fattosi sempre più necessario grazie anche alla denatalità, che ha colpito l'Italia e pure la nostra Umbria,
7. L'agire morale nel dialogo ecumenico
Sul piano morale e comportamentale l'esperienza ecumenica riscontra tra i cristiani discordanze anche notevoli di posizioni; si ricerchino, tuttavia, con pazienza e serenità, principi e criteri di convergenza, anche per dare fondamenti solidi alla spinta di amicizia e di aiuto reciproco che viene dall'ecumenismo. Questa indicazione riguardante l'etica (principi) e la morale (scelte comportamentali concrete) non è così facile come potrebbe sembrare.
L'ecumenismo ha sinora privilegiato l'approccio amicale, l'incontro spirituale e caritativo, il dialogo teologico, la revisione storica; ma non è ancora entrato nell'ambito etico e morale se non per problemi limitati.
Non si dovrà mai dimenticare l'amore per l'essenziale unito alla tensione verso l'ideale, propria dell'insegnamento evangelico, e la derivazione dei criteri di comportamento dai comportamenti esemplari di Gesù, secondo l'insegnamento di Paolo. Gesù ci propone sempre mete arditissime, e proprio per questo creatrici di progresso anche culturale e sociale: è la logica del "plèroma" (pienezza e perfezione).
Il comandamento negativo: “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te stesso”, divenuto in positivo “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Lv 19,18), è stato ripreso anche da Gesù (Mt 19,19 e paralleli). Gesù però ha sostituito l'unità di misura dell'antica norma con altra unità di misura, e cioè con il suo personale comportamento; e ha detto:
“Amatevi come io vi ho amato” (Gv 13,34). Il suo è un amore che dalla lavanda dei piedi arriva al dono radicale della vita nell'eucaristia e sulla croce, sino al perdono degli assassini perché “non sanno quello che fanno”.
a stessa prospettiva di amore senza misura è riproposta con l'arduo comando: “Siate perfetti com'è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48; Lc 6,36). E la tensione verso la "perfezione", possibile a conseguirsi solo con i mezzi della grazia, corre per ogni pagina del Vangelo.
Questa tensione verso il di più costituisce peraltro la migliore salvaguardia della dignità e della razionalità dell'uomo, senza cedere alle sopravvalutazioni enfatiche del soggettivo e del libertario, tipiche dall'attuale società, definita da alcuni sempre piu materna ,e cioè sempre più attenta alle emozioni del singolo e alla dimensione affettiva, anziché alla fondamentale verità oggettiva delle cose.
8. Per un dialogo con gli ebrei
È il popolo prescelto da Dio per testimoniare il suo nome dinanzi alle nazioni. Ha portato avanti la sua missione tra tante sofferenze ed emarginazioni, con una fedeltà e una costanza che meravigliano.
Pur disperso da millenni in una dolorosa diaspora e soggetto a repressioni e persecuzioni (l'ultima di esse, l'immane sacrificio della shoà, doveva essere, nella mente degli ideatori, la soluzione definitiva
della questione ebraica in Europa), non si è mai confuso con alcun altro popolo e ha sempre conservato la propria identità e la propria fede.
Alla diffidenza verso questo popolo hanno concorso anche le accuse cristiane di "deicidio" e di "perfidia", che sono state definitivamente cancellate in campo teologico e pastorale con la dichiarazione Nostra aetate del concilio Vaticano Il. Non è tuttavia dissolto l'antisemitismo, né sono superati i tanti pregiudizi che colpiscono ancora questo popolo, soprattutto per la peculiarità della sua "vocazione".
E dovere inderogabile degli insegnanti di religione cattolica e dei catechisti adoperarsi per eliminare tanti pregiudizi e rileggere nella verità non solo la vicenda storica, ma anche quella religiosa di questi "fratelli maggiori", come li ha chiamati papa Giovanni Paolo Il andando a visitarli nella sinagoga di Roma.5
Da loro sono venuti a noi la vergine Maria, gli apostoli, la Chiesa, la Bibbia, i salmi della preghiera, la struttura della nostra liturgia... Per i cristiani poi, attraverso il fatto dell'incarnazione, Dio stesso è venuto sulla terra, e il suo Verbo s'è fatto uno di noi in Gesù di Nazaret, che “ebreo e lo è per sempre” (cf. Ebrei ed ebraismo, III. 1: EV 9/1636).
Occorre fare particolare attenzione al linguaggio usato nei confronti degli ebrei, per non ripetere stereotipi offensivi. Occorre anche non confondere il popolo ebraico e lo Stato d'Israele con il suo governo e la sua politica, che può non essere da tutti condivisa.
9. Per un dialogo con i musulmani
È un dialogo quanto mai difficile e per certi aspetti quasi senza prospettive. C'è tale diversità di cultura e di abitudini che non si vede sbocco immediato al dialogo religioso. E tuttavia abbiamo bisogno di acquisire conoscenze e promuovere rapporti umani, chiamati come siamo a convivere con queste presenze sempre più massicce e solidali tra loro.
Inquieta molto l'intolleranza dei governi e il "fondamentalismo" di tanti gruppi, che ha scatenato persecuzioni verso i cristiani in molti stati e addirittura sta facendo martiri con calcolata ferocia: è recente lo sgozzamento di sette frati in Algeria e l'assassinio dello stesso vescovo di Oran. Ma è un comportamento che molti musulmani disapprovano, perché si rendono conto che non si può uccidere l'uomo per rendere onore a Dio. Vogliamo anche noi pregare, come Giovanni Paolo Il ci ha insegnato, perché dal martirio possa venire “uno slancio nuovo verso una società dove l'uomo non sia tradito, dove la violenza non abbia più diritto di cittadinanza e dove le differenze possano concorrere al bene di tutti”.
Qui però si vuol dire che, anche se non si riesce ancora ad attuare con i musulmani la reciprocità o ad ottenere la libertà di scelta religiosa, dobbiamo egualmente accoglierli con rispetto e dialogare con loro per conoscerli meglio, apprezzando anche certa loro coerenza religiosa (nella professione di fede, nel rispetto del nome santo di Dio, nella preghiera, nella serietà del digiuno~..).
I contatti e la frequentazione di buoni testimoni cattolici consentiranno anche ai musulmani, che sono peraltro molto differenziati tra loro, di modificare un po' alla volta i loro comportamenti e la loro cultura.
Data la natura dell'islam, c'è difficoltà anche a identificare un interlocutore, che possa rappresentare validamente le varie componenti. Quali che siano però le difficoltà, il dialogo non può e non deve mancare, così come non manca, da parte cattolica, l'ospitalità e l'aiuto delle Caritas ai tanti immigrati.
10. Il dialogo interreligioso
Anche con le religioni storiche non cristiane occorre aprire un dialogo per esigenze religiose, in nome dell'adorazione dell'unico Dio, e per esigenze sociali, in nome della pace e del miglior bene della società. E un dialogo totalmente asimmetrico in quanto non ha per base la fede in Cristo, e perciò le difficoltà sono ancora più grandi di quelle del dialogo ecumenico, ma va intrapreso ugualmente come riconoscimento rispettoso l'uno dell'altro. Ne ha parlato a lungo Paolo VI nella Ecclesiam suam, l'ha attuato Giovanni Paolo Il, che volle la storica giornata di Assisi del 27 ottobre 1986 con la preghiera simultanea per la pace da parte dei vari esponenti religiosi, nella quale ognuno ha pregato Dio nella sua lingua e nella sua comprensione.
In questo contesto di pluralismo religioso il dialogo significa “l'insieme dei rapporti, positivi e costruttivi, con persone e comunità di altre fedi per una mutua conoscenza e un reciproco arricchimento, nell'ubbidienza alla verità e nel rispetto della libertà” (Dialogo e missione 3: EV 9/990).
Sviluppatosi con Paolo VI, è soprattutto con Giovanni Paolo Il che il dialogo interreligioso s'è fatto più robusto, riconosciuto come “fondamentale per la Chiesa, che è chiamata a collaborare al piano di Dio con i suoi metodi di presenza, di rispetto e di amore verso tutti gli uomini” (Discorso del 1984). E anzi, “i contatti interreligiosi, accanto al dialogo ecumenico, sono strade obbligate perché tante lacerazioni dolorose, avvenute lungo il corso dei secoli, più non accadano e quelle residue siano presto risanate” (Discorso del 13.11.1992).
Talvolta si contesta questo dialogo perché non è collegato alla reciprocità, o perché viene puntualmente frustrato dalle sanguinose violenze dei fondamentalisti. E tuttavia non abbiamo altra strada: una cosa buona s'ha da fare a prescindere dai riscontri. Alla lunga, poi, la pazienza ammorbidirà anche i cuori più induriti e consentirà, per grazia di Dio, cadute di muri oggi impensabili.
Se a sollecitare il dialogo ecumenico è il grido di Gesù: “Ut unum sint!”, a sollecitare il dialogo intetreligioso è di nuovo una parola di Gesù, la sua riflessione dinanzi al comportamento del centurione pagano: “Presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande!” (Mt 8,10>.
Per descrivere le caratteristiche di un dialogo fruttuoso, basterà citare un breve passaggio d'un documento del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso: “Il dialogo richiede un atteggiamento equilibrato sia da parte dei cristiani sia da parte dei seguaci delle altre tradizioni. Essi non dovrebbero essere né troppo ingenui né ipercritici, bensì aperti e accoglienti. S'è già fatta menzione del disinteresse e dell'imparzialità, così come dell'accettazione delle differenze, nonché delle possibili contraddizioni. Le altre disposizioni richieste sono la volontà di impegnarsi insieme a servizio della verità e la prontezza a lasciarsi trasformare dall'incontro. Ciò non significa che, nell'entrare in dialogo, si debbano mettere da parte le proprie convinzioni religiose. E vero il contrario: la sincerità del dialogo interreligioso esige che vi si entri con I 'integrità della propria fede” (Dialogo e annuncio 47-48: EV 13/337s).
11. L'agire morale nel dialogo interreligioso e interculturale
Quanto all'agire morale, la Chiesa cattolica da sempre insiste sull'importanza di “valori umani comuni”, che sollecitano una cooperazione tra coloro che sono cristiani e “coloro che non professano il cristianesimo, ma riconoscono tali valori” (AA 27: EV 1/1015). La base ditali valori è la ragione, che rimane in ogni caso il luogo dove è avvenuta e dove avviene la iniziale e autentica, anche se largamente incompleta, autorivelazione di Dio. Per questo la Chiesa ha in grande onore la ragione dell'uomo e la razionalità delle sue opzioni, anche se non si ferma ad esse. Propone infatti la fede, come conoscenza ulteriore del mistero di Dio, avviata con i profeti e conclusa con Gesù (cf. Eb 1,1-2). E la fede non è contro la ragione, ma sulla linea di sviluppo della ragione; così come non è affatto contro la scienza, ma è d'un altro ordine conoscitivo rispetto alla scienza. In questi ultimi tempi, per il prevalere di un relativismo a oltranza e d'un pensiero negativo senza speranza, sembra essersi dissolta la possibilità di riferirsi a una comune concezione globale della vita e ad un orizzonte condiviso di senso. Non c'è più, quindi, consapevolezza dell'importanza dei valori comuni, o se ne nega addirittura l'esistenza, sottovalutando ragione e razionalità, per fermarsi solo ai valori sociali storicizzati nei diversi dettati costituzionali. Si ripiega, cioè, per evidente "sterilità etica", su un orizzonte etico debole e minimalista, che non può bastare a dare vigore e slancio alla coscienza, la quale deve essere fiera e ben motivata se si vogliono affrontare le immani sfide del futuro. Giacché, ha detto Giovanni Paolo il all'Università di Perugia, “la causa dell'uomo sarà servita se la scienza e la cultura si alleano alla coscienza”. In altra occasione aveva già ricordato: “La promozione dei valori morali è un fondamentale contributo al vero progresso della società” (Discorso del 3.6.1985).
Anche per questo non possiamo disattendere il dialogo, alla ricerca, all 'interno delle stesse religioni e delle diverse culture, di quei valori etici fondamentali o di quelle "convergenze etiche" di cui tutti avvertiamo urgente bisogno. E tuttavia certe suggestioni universalistiche o certe
convergenze di tipo statistico non convincono, e lasciano ampio spazio al relativismo etico oggi imperante, che non salva né libertà né morale. Ed anzi ai credenti sanno di precarietà e di rinuncia, giacché, come ha spiegato Giovanni Paolo Il a Palermo, “il nucleo generatore di ogni autentica cultura è costituito dal suo approccio al mistero di Dio, nel quale soltanto trova fondamento incrollabile un ordine sociale incentrato sulla dignità e responsabilità personale. E a partire da qui che si può e si deve costruire nuova cultura”, e quindi, ogni sistema morale.
L'esperienza, d'altro canto, ci dice che in campo etico non si può e non si deve giocare al ribasso, ma, per il degrado progressivo dell'energia anche morale, occorre tendere sempre verso l'orizzonte più generoso e impegnativo, anche se più difficile e faticoso. Confessava già il poeta pagano Ovidio: “video meliora proboque, deteriora sequor” (Vedo il meglio e l'approvo, ma seguo le cose peggiori). E Paolo gli fa eco, facendo appello, per superare la contraddizione, alla grazia “Ogni volta che voglio fare il bene, trovo in me soltanto la capacità di fare il male... me infelice!... Chi mi salverà?” (Rm 7,21s).
12. Il dialogo tra cattolici
Questo paragrafo può sembrare quasi pleonastico o fuori luogo. Avendo tuttavia parlato sin qui di dialogo ad extra (con i cristiani non cattolici, con i non cristiani, con i non credenti), può riuscire utile anche un richiamo al dialogo ad intra, e cioè all'interno del mondo cattolico, dove, come nella comunità di Corinto, possono esserci difficoltà di rapporti (ad esempio tra clero e laici, tra parrocchie e aggregazioni laicali, tra le stesse aggregazioni laicali...), o anche solo diversità che fanno problema. Anche in questo ambito occorre sviluppare il dialogo per conoscersi meglio, riconoscere e accogliere con gratitudine i carismi "diversi" così come vuole il concilio (LG 12: EV 1/317), alimentare un vero spirito di accettazione reciproca, crescere armoniosamente nella legittima pluralità di espressioni. Parafrasando parole ben note, dobbiamo almeno imparare ad amare (stimare, accogliere, aiutare...) il gruppo, o la parrocchia degli altri, così come amiamo (stimiamo, accogliamo, aiutiamo...) il nostro gruppo e la nostra parrocchia. Ci tocca invece esclamare talvolta con sant'Agostino: “Quant'è difficile la concordia tra fratelli!”, per gridare con san Paolo: “Smettiamo di giudicarci a vicenda!” (Rm 14,13).
Di questo dialogo si parlò ampiamente al convegno di Loreto del 1985, riconoscendo come “primaria la necessità di una forte comunione e comunicazione nella Chiesa locale”, e ribadendo l'urgenza d'una piena riconciliazione ad intra e ad extra (cf. Nota pastorale La Chiesa in Italia dopo Lareto, nn. 25-26: ECEI 3/2669-2671). In ambito ecumenico, poi, l'eventuale dialogo da parte di una Chiesa divisa al suo interno non è né credibile né efficace. Vale il detto di Gesù: “Medice cura te ipsum!” (medico cura te stesso!) (Lc 4,23).
Occorre parimenti sollecitare i cattolici a non emarginarsi da soli all'interno dell'attuale società, con il non partecipare o il non collaborare alle iniziative sociali, culturali e scolastiche, facendo così mancare un apporto importantissimo alla crescita della società: e questa autoesclusione è un male per tutti, comunque venga motivata. Occorre invece
operare solidalmente per una "città riconciliata", come il papa ha detto alla gente di Perugia nella sua visita del 1986. Ma è problema che attiene di più alla pastorale ordinaria, e ad essa rimando.
13. Non emarginare i... cattolici
In questo contesto si può pure far menzione del rispetto che deve esserci anche per i... cristiani cattolici. Può capitare infatti che talora proprio loro finiscano per essere emarginati in casa propria. In questo contesto educativo intendo riferirmi, tra l'altro, all'insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica, soprattutto nella prima età scolare. Visto che c'è una legge dello Stato che prevede e disciplina questo insegnamento, è legittimo e doveroso, - almeno finché c'è questa legge e non viene cambiata dal legislatore-, chiedere che l'IRC si faccia, e si faccia nel rispetto della volontà dei genitori, i quali vogliono l'IRC e non un altra cosa. Si faccia seriamente, alle condizioni previste dalla legge: e cioè non sia una educazione catechistica alla fede (questa si fa propriamente in famiglia o in parrocchia), ma sia istruzione argomentata ai fini d'una conoscenza culturalmente corretta; conoscenza, peraltro, non di un generico sentimento religioso, ma dei contenuti specifici della religione cristiano-cattolica. Nulla vieta l'allargamento delle informazioni anche ad altre opzioni religiose; intanto però si diano le informazioni richieste e dovute. Non avvenga che, per rispettare le convinzioni religiose altrui, si debba finire per emarginare le proprie! D'altro canto l'IRC non è una concessione alla Chiesa cattolica (checché se ne pensi), ma il riconoscimento di un doveroso servizio culturale offerto al cittadino italiano che voglia avvalersene.
Non si dovrebbe neppure sottovalutare il fatto che, non essendo la religione cristiana un dato archeologico o un rito magico, ma una esperienza viva e vitale che genera ancor oggi santi e martiri, per conoscerla già solo culturalmente è opportuna, quando è possibile, una presa di contatto anche con le esperienze ecclesiali che più la caratterizzano. La questione è certamente complessa e delicata, e va trattata nel rispetto pieno della libertà di ciascuno e della legittima normativa scolastica.7
All'insegnante di religione cattolica, proprio perché fedele a Dio e all'uomo, è offerta con l'IRC un preziosa occasione di ascolto e di dialogo, e anche la possibilità di fare della scuola un laboratorio di educazione all'ascolto e all'accoglienza reciproca, nel rispetto delle dinamiche proprie del rapporto educativo scolastico. Il dialogo è lo stile normale, con il quale l'insegnante di religione cattolica deve entrare nella scuola.
Vorrei anche invitare tutti gli educatori a riflettere sul deterioramento progressivo e snaturante, dentro e fuori la scuola, delle stesse principali festività religiose: da molto tempo il Natale è diventata la festa di babbo natale con i suoi regali (quando va tutto bene, è anche il ricordo della nascita d'un "bambino povero", non si sa bene chi...); l'Epifania è la sagra dei giocattoli; la Pasqua è la festa della primavera; la ricorrenza dei santi e dei morti è addirittura la festa di... Halloween (che sarebbero poi le... zucche vuote!); la domenica è solo un week-end; le feste patronali sono diventate sagre popolari senza più nulla di sacro; e via deformando. La New Age - una cultura non cristiana molto pervasi-va - ci sta preparando una melassa pseudoreligiosa che accentuerà la confusione.
14. Ritorno alla Bibbia
Il grande tema della "nuova evangelizzazione" e l'avvicinarsi di una scadenza impegnativa come il giubileo dell'anno 2000 ci sollecitano a tornare con decisione alla Bibbia, da cui nasce la fede, come risposta dell'uomo a Dio che lo interpella. Il Documento base della catechesi scriveva nel 1970: “La Scrittura è IL LIBRO [della catechesi], non un sussidio, fosse anche il primo” (n. 107: ECEI 1/2687). Di questo argomento hanno trattato di recente i vescovi italiani in una loro nota pastorale, La Bibbia nella vita della Chiesa (1995: ECEI 5/2903ss), che è bene leggere. Su di essa comunque dovremo tornare nello svolgimento del piano pastorale, anche perché i vescovi hanno proclamato il 1997 "anno della Bibbia", pensando a iniziative adeguate (TMA 40).
Fin d'ora però dico che il ritorno alla Bibbia è esso stesso un prezioso fatto ecumenico, perché sulla Bibbia tutti i cristiani si incontrano. Anzi <(ha un'importanza decisiva quale punto d'incontro tra le Chiese e comunità ecclesiali, essendo la Bibbia la base comune della regola della fede” (cf. La Bibbia nella vita della Chiesa 34: ECEI 5/ 2950). Pure gli ebrei vengono da quella matrice, anche se limitatamente all'Antico Testamento. E persino i musulmani hanno a che fare con la rivelazione mosaica, anche se poi la loro propostu religiosa ha preso tutt'altra direzione. Si può qui ricordare che l'impegno ecumenico in Italia ha dato vita nel 1985 a una traduzione interconfessionale della Bibbia in lingua corrente (TILC), alla quale hanno lavorato insieme protestanti e cattolici.
Vedrei volentieri una presentazione e un uso più insistito e continuativo della Bibbia anche nella scuola pubblica da parte degli insegnanti di religione cattolica. Il documento CEI sopra menzionato considera la scuola “un prezioso canale che permette di imparare l'alfabeto delle conoscenze bibliche”, ritenendo “la Bibbia quale fonte primaria e principale documento di riferimento”. Anzi “agli insegnanti di religione cattolica è affidato il compito di elaborare una programmazione capace di far incontrare l'oggettiva presentazione del testo sacro con le attese più vive dei loro alunni” (ivi, 29: ECEJ 5/2944). E forse questo approccio serio e informato alla Bibbia potrebbe trovare consenzienti più categorie di persone, che oggi osteggiano l'IRC per motivi ideologici.
In ogni caso il libro della parola di Dio deve essere oggetto di studio e di meditazione, non solo per conoscere la storia della salvezza come si è sviluppata in passato e come continua a svolgersi oggi nel vissuto quotidiano, ma anche per la propria formazione spirituale. Ha la pretesa d'essere "parola di Dio" ma, come la fede cristiana, tale Parola non si impone a nessuno. Si può soltanto proporre, in attesa che la libertà di ciascuno, che è il "maggior dono" che Di9 abbia potuto farci, si orienti liberamente verso l'accettazione di essa. E comune convinzione dei credenti, infatti, che la Bibbia “può dare la saggezza che conduce alla salvezza per mezzo della fede in Cristo Gesù” (2Tm 3,15).
15. Apriamoci alla speranza
Volgendo a conclusione questa mia esortazione pastorale ai catechisti e, per connessione, agli insegnanti di religione cattolica nella scuola, vorrei ricordare che l'intervento del catechista e dell'insegnante di religione cattolica è decisivo ai fini di una seria e corretta formazione ecumenica e dialogica. A loro conforto posso ricordare che anch'essi rientrano con particolare titolo di preferenza nella preghiera speciale di Gesù per l'unità dei cristiani: “Prego anche per quelli che per la parola degli apostoli crederanno in me” (Gv 17,21).
È ormai chiaro a tutti che l'urgenza pastorale del momento è il "ricostruire la Chiesa", come diceva Paolo VI; la "nuova evangelizzazione" e la "missione", come dice continuamente Giovanni Paolo Il; un "nuovo progetto culturale a valenza pastorale", come amano dire i vescovi italiani. Proprio queste emergenze pastorali, e in particolare l'evangelizzazione, esigono l'ecumenismo tra i cristiani, il dialogo interreligioso tra i credenti, il dialogo interculturale tra gli uomini di buona volontà.
Non c'è buona evangelizzazione per i cristiani se non si annuncia lo stesso Gesù, figlio di Dio e vero uomo; lo stesso Dio uno e trino, fatto conoscere da Gesù; la stessa Chiesa, corpo vivente del Signore, secondo la prospettiva unitaria voluta da Gesù stesso: “Fa' che siano tutti una cosa sola, Padre; così il mondo crederà che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).
E non c'è buona evangelizzazione per i credenti delle diverse religioni se non si è pronti all'adorazione religiosa dello stesso Dio, signore del cielo e della terra, degli uomini e del loro destino, come dice l'autore della lettera ai cristiani di origine ebraica: “Nessuno può essere gradito a Dio se non ha la fede. Infatti chi si avvicina a Dio deve credere che Dio esiste e ricompensa quelli che lo cercano” (Eb 11,6).
Non c'è buona evangelizzazione neppure per il mondo "laico" se, nell'ottica della pre-evangelizzazione, non si dialoga anche con i "lontani e i non credenti". Sono pur sempre persone di buona volontà che, forse senza avvedersene, cercano il Dio ignoto nei fantasmi e negli idoli (cf At 17,25-28). Ad essi occorre svelare gli innati "semi del Verbo" di cui parlava già sant'Agostino, dal momento che anche i lontani “non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini” (NAe 2: EV 1/857). Siamo infatti ben convinti che “tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione ad accogliere il Vangelo e come dato da Colui che illumina ogni uomo” (LG 16: EV 1/326). Ecco perché dobbiamo avvicinarci ad ogni uomo, anche non credente o sedicente "ateo", con rispetto e ottimismo.
Fotte di queste convinzioni la Chiesa, nel far riflessione su di sé, parla, ai nn. 13-16 della Lumen gentium, d'una “cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale, alla quale sono chiamati e ordinati in vario modo tutti gli uomini” (LG 13: EV 1/ 321). È di questa "cattolicità dialogica" che oggi occorre essere consapevoli per costruire sulla terra la "civiltà dell'amore", come la chiamava Paolo VI, o una "fraternità senza terrore", come diceva l'ultimo Sartre, o la "convivialità delle differenze", come sognava don Tonino Bello. Senza rinnegare o nascondere nulla della propria fede, ma anche senza mai rifiutare ascolto e accoglienza ad alcun uomo in seria ricerca di Dio,
o in trepida attesa dello svelamento del mistero dell'uomo. Che il Signore, dinanzi allo smarrimento di tanta gente, ci consenta di renderci conto appieno del grande dono della fede!
16. Conclusione
Vi auguro, cari catechisti e cari insegnanti, di affrontare insieme con me la sfida e la fatica della nuova evangelizzazione, fatta anche di attenzione, di dialogo, di convergenza ecumenica a piccoli passi, forti nella fede e continuamente sorretti dalla preghiera. L'avvenimento del "grande giubileo" o, ecumenicamente, del "secondo millennio della nascita di Cristo", ci sollecita a percorrere senza esitazione le vie della conversione e della riconciliazione, e quindi anche del dialogo, dinanzi alla grande icona giubilare: la cmce di Gesù Cristo, che “dei due fece un popolo solo; sulla croce, sacrificando se stesso, egli ha distrutto ciò che li separava” (Ef 2,16).
Conversione e niconciliazione sono le vere chiavi di volta del nuovo ecumenismo e del dialogo (LG 15: EV 1/325). Dal "convergere" seriamente, tutti, su Gesù Cristo, e non su di noi, nasce quella marcia di avvicinamento verso l'unità, che sarà, nella nuova "pienezza dei tempi", un dono sorprendente dello Spirito. Il convergere su Gesù Cristo produce unità, secondo l'antico effato filosofico “quae conveniunt uni tertio, conveniunt inter se” (le cose identiche ad una terza, sono identiche tra di loro).
Le cicatrici dolenti della memoria storica (UtUS 2) rendono più complicata, almeno psicologicamente, la riconciliazione, com'è avvenuto per i due fratelli della parabola lucana, amati ambedue dal Padre ricco di misericordia ma incapaci di amarsi reciprocamente (Le 15). Tocca a noi, nel millennio che si apre, scrivere la conclusione di quella parabola dal singolare esito ecumenico: e dovremo scriverla con i gesti concretissimi d'un generoso perdono reciproco, non essendoci "capretti" bastanti a placare l'animo di chi più soffre, se non "l'Agnello" di Dio immolato su una croce a riconciliazione permanente delle frantumazioni provocate dal maligno.
La prossima assemblea ecumenica di Graz (giugno 1997) stimola anche voi, catechisti e insegnanti di scuola, a operare per una radicale generosa riconciliazione tra le chiese e le comunità cristiane, imparando tutti a declinare il "credo Ecclesiam "della comune professione di fede. Quel "credo la Chiesa" (e cioè mi fido e mi affido) sta ad indicare prima di tutto che la Chiesa, una santa cattolica apostolica - fatta d'uomini e non d'angeli, è anch'essa un "mistero" da credere per la sua natura umano-divina, teandrica come quella di Cristo; ma è pure una comune Madre, bisognosa sempre di purificazione e anche d'un immenso continuo amore. Come quello di Gesù.
Carissimi, quel che ho scritto è ben poca cosa rispetto a quel che si dovrebbe dire sul problema attuale del dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale. Spero che ne nasca almeno il desiderio di approfondire l'argomento con corsi specifici di studio e di aggiornamento, che gli Uffici diocesani saranno ben lieti di attivare su vostra richiesta, oltre ai corsi che esistono già nell'istituto teologico della regione.
Vi ringrazio, intanto, di avermi seguito sin qui.
Vi accompagnano nella vostra missione la mia benedizione e l'augurio di un lavoro proficuo per l'unità di tutti i cristiani e per la fraternità di tutti gli uomini.
Perugia, 4 ottobre 1996
Festa di san Francesco d'Assisi
Giuseppe Chiaretti
arcivescovo metropolita
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NOTE
1. Per quel che concerne la natura dell'IRC e la formazione degli insegnanfi, si legga la ricca nota pastorale delta CEI, Insegnare religione cattolica oggi, 1991 (ECEI 51141ss). Per i catechisti rimane sempre validissimo il Documento base, Il rinnovamento della catechesi [Dbl, del lontano 1970 (ECEI 1/2362ss), che i vescovi italiani hanno riproposto integralmente con una loro nota introduttiva nel 1988. Non potendo e non volendo trattare dei tanti problemi dell'ecumenismo oggi, rimando alla lettuna della magna charta dell'ecumenismo per la Chiesa cattolica, che è la recente enciclica di Giovanni Paolo Il, Ur unum Sint lUtUS], del 25 maggio 1995.
2. Segretariato CEI per l'ecumenismo e il dialogo pubblicò nel 1993 una Nota pastorale sull'argomento, L'impegno pastorale della Chiesa di fronte ai nuovi movimenti religiosi e alle sette (ECEI 5/1760ss), molto ben fatta. Uno studio puntuale su questi fenomeni stanno conducendo anche docenti dell'Università di Penugia.
4. Si vanno già elaborando catechismi "ecumenici" (per esempio, ad opera del SAE). Cf. anche la Lettera ad un catechista, della diocesi di Pinerolo 1993, di cui mi sono avvalso in questo paragrafo.
5 Una utilissima raccolta di documenti è il volume In dialogo con ifratelli maggiori. AVE, 1988. Di fondamentale impertanza è l'Istruzione del Segretariato per l'unione dei cristiani, Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi della Chiesa cattolica. Sussidi per una corretta presentazione, 24.6.1985:
EV 9/1615ss6 Per sapeme di più sul dialogo inteneligioso molto giovano i documenti prodotti dai Pontificio Consiglio omonimo, raccolti nel volume Il dialogo interreligioso nel magistero pontificio (1963-1993), a cura di Francesco Gioia, Libreria Fdiuice Vaticana, 1994.
7 È quanto mai utile la lettura del recente documento CEI Per la scuola. Una lettera agli studenti, ai genitori, a tutte le comunità educanti, 1995.
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Inserito 01/01/1970
Relazioni Ebraico-Cristiane
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