Quarantesimo anniversario di promulgazione della Dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II. Discorso di benvenuto di S.E. il cardinale Walter Kasper, Presidente della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo

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Kasper, Walter

Italia       27/10/2005

Eminenze,
Eccellenze,
Distinti Rappresentanti ebraici,
Signori Ambasciatori,
Gentili Signore e Signori,

Siamo riuniti in questa illustre Sala per celebrare i quarant’anni di promulgazione della Dichiarazione conciliare Nostra aetate, con speciale riguardo al quarto capitolo del Documento, che tratta dell’Ebraismo. Offro a tutti il benvenuto con cordiale simpatia, e ringrazio di cuore per la vostra presenza che onora chi vi parla e la Commissione della Santa Sede per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo.

Prima di introdurre il tema della celebrazione, ho il privilegio di leggervi il testo del Messaggio, che Papa Benedetto XVI mi ha indirizzato per la circostanza.

[segue la lettura del Messaggio diBenedetto XVI]

Gentilissimi Ospiti!
Quarant’anni sono una misura biblica dalle molte connotazioni. In primo luogo, essi rappresentano un modulo generazionale, un periodo entro il quale una generazione è attiva ed è poi sostituita dalla successiva. Quarant’anni stanno a significare, nel nostro caso, un cammino non facile e faticoso, che tuttavia Dio ha accompagnato e sostenuto, e che è dunque un tempo benedetto. Noi, oggi, celebriamo tutto questo ricordando i quarant’anni trascorsi dalla memorabile promulgazione di un Documento che – come pochi altri – ha ribaltato una storia bimillenaria complessa, travagliata, difficile e dolorosa; celebriamo una Dichiarazione che costituisce l’inizio di un inizio del processo di riconciliazione e di pace fra ebrei e cristiani, soprattutto fra ebrei e cattolici, un cammino che, in verità, è ancora distante dalla terra promessa; un cammino lungo il quale permangono ostacoli, malintesi e sospetti da superare, ferite del passato da rimarginare, ed avvertiamo ancora il dovere di una purificazione della memoria per il tramite di un continuo processo di conversione o teshuvà.

Rivolgo il mio più cordiale saluto ai due relatori che mi affiancano questa sera, Sua Eminenza il Cardinale Jean-Marie Lustiger e l’Illustre Rabbino David Rosen. Negli ultimi anni e decenni, sebbene in modi diversi, essi sono stati l’avanguardia del cammino percorso. Sin da ora, esprimo loro i miei ringraziamenti deferenti per aver accettato di riflettere con noi sul messaggio di Nostra aetate, e sul significato del Documento per il futuro – un futuro, che vorrei permettermi di definire «comune».

Nel ricordare l’anniversario di promulgazione di Nostra aetate sarebbe impossibile, o meglio segno di ingratitudine, non evocare alcune personalità, che hanno avuto l’idea, il coraggio, l’entusiasmo – e la forza spirituale – di affrontare con risolutezza il progetto, rendendolo possibile malgrado le molte, fortissime ed inimmaginabili resistenze, ad extra non meno che ad intra: il buon Angelo Roncalli, il beato Papa Giovanni XXIII, il Cardinale Agostino Bea, il suo successore, il Cardinale Johannes Willebrands, lo storico ebreo francese Jules Isaak, il quale, in una memorabile udienza del giugno 1960, convinse Papa Roncalli al grande passo, Johannes Österreicher, che va annoverato tra i principali redattori della Dichiarazione, e molti altri. Ma come non ricordare in questo contesto, Papa Giovanni Paolo II? Nella bimillenaria storia della Chiesa, nessun Pontefice aveva fatto sue come lui le intenzioni di Nostra aetate, nessuno come Lui le ha promosse ed approfondite con tutta la forza della sua straordinaria personalità. Vorrei limitarmi soltanto ad evocare la visita alla grande Sinagoga di Roma, il Tempio Maggiore, e la visita a Yad Vashem e al Muro del Pianto a Gerusalemme. Con rispetto e gratitudine profonda noi ci poniamo alla sequela di questi giganti che ci hanno preceduto.

Il nostro ringraziamento si rivolge anche a coloro che ci hanno accompagnato negli ultimi quarant’anni in quel processo non sempre facile, – spesso difficoltoso e a tratti discontinuo – per la ricezione dell’insegnamento di Nostra aetate, la sua applicazione, la sua assimilazione da parte del mondo ecclesiale ed ebreo, e la sua trasmissione, oggi, ad una nuova generazione che ha perso il ricordo del radicale cambiamento suscitato dal Documento. Sono stati quarant’anni di alti e bassi, durante i quali è stato necessario superare molte indecisioni e malintesi, ma anche anni in cui abbiamo visto la pubblicazione di documenti, articoli e libri di valore, che hanno contribuito alla causa; sono stati anni che hanno visto nascere e crescere profonde amicizie, anni che lasciano ben sperare.
A questo riguardo, ho appreso con soddisfazione l’iniziativa di Mons. Pier Francesco Fumagalli, già collaboratore della nostra Commissione, il quale ha curato, in occasione del quarantesimo di Nostra aetate, un volume dal titolo: Fratelli prediletti – Chiesa e Popolo Ebraico (1), pubblicato in questi giorni. Il libro raccoglie i testi più significativi di Papa Giovanni Paolo II ed i documenti più importanti del dialogo cattolico – ebraico.

Ripercorrendo la storia di questi ultimi quarant’anni, tra gli artigiani della prima ora, vorrei limitarmi a nominarne almeno due: il compianto Dott. Gerhart Riegner per la collaborazione tra l’International Jewish Committee on Interreligious Consultations [IJCIC] e la Commissione della Santa Sede per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo, e l’Ill.mo Rabbino Capo emerito, Prof. Elio Toaff, per le relazioni con la comunità ebraica di Roma. Essi rappresentano una parte per il tutto: due cari amici fra tanti altri amici.
Il messaggio di Nostra aetate è chiaro, oggi come allora: un “no” deciso ad ogni forma di antigiudaismo e antisemitismo e la condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano. Un “sì” non meno deciso alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo. Noi cristiani abbiamo ricevuto in dono dal giudaismo la fede in Dio uno e unico, le promesse ed i comandamenti del Signore, che ci illuminano lungo la via della nostra vita e ci danno speranza. Il popolo ebraico ci ha dato Gesù e Maria, sua Madre.

Malgrado tutte le innegabili differenze che sono essenziali per la nostra fede rispettiva, noi cristiani abbiamo una relazione unica con il giudaismo, una relazione che non abbiamo con nessun’altra religione. Perciò Papa Giovanni Paolo II ha chiamato gli Ebrei “i nostri fratelli maggiori nella fede di Abramo”, nostro padre comune nella fede. Così, invece di scrivere come ai tempi dei Padri della Chiesa un Tractatus contra Iudaeos, noi possiamo scriviamo oggi un Tractatus pro Iudaeis.

È una tragedia della storia il fatto che il “no” così come il “sì” siano stati espressi soltanto dopo l’esperienza spaventosa della Shoah, crimine atroce e fino allora inimmaginabile. Non è un caso che uno dei testi più importanti pubblicati in questi quarant’anni dalla nostra Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo”, porti il titolo: “We remember”, “Noi ricordiamo” (1998). Anche in questa circostanza di festa, sento profondamente il dovere di affermare, con le parole di Papa Giovanni Paolo II ripetute da Papa Benedetto XVI nella Sinagoga di Colonia, “Chino il capo davanti a tutti coloro che hanno sperimentato questa manifestazione del mysterium iniquitatis” (15 gennaio 2005, 19 agosto 2005).

Proprio a motivo di una tale ed illustre preistoria, questa sera non dobbiamo soffermarci soltanto sui quarant’anni trascorsi; Nostra aetate rappresenta per noi un serio obbligo, una responsabilità ed un impegno per il futuro. Come ho già affermato, la Dichiarazione era soltanto l’inizio di un inizio. Molti compiti storici e teologici debbono essere ulteriormente incoraggiati e sviluppati: abbiamo frammenti, ma non ancora una teologia elaborata dell’ebraismo, ed attendiamo anche – se possibile – una teologia ebraica del cristianesimo.

Davanti a noi vi è poi il vasto campo della collaborazione sociale e culturale: l’edificazione di un mondo libero dalla piaga della fame, dal flagello del terrorismo, un mondo che abbia finalmente rigettato l’antisemitismo e l’anticattolicesimo; l’edificazione di una cultura veramente umana e solidale, basata sui valori che cristiani ed ebrei hanno in comune, una cultura della “pace effetto della giustizia” (Isaia 32,17), soprattutto per quella terra che è Santa per gli uni e per gli altri. Siamo inoltre confrontati ad una missione comune: trasmettere la fiaccola della speranza, l’indole della religione, sia ebrea che cristiana, a una nuova generazione spesso priva di orientamento e senza speranza affinché essa possa costruire un mondo in cui –secondo le parole del salmista – giustizia e pace si baceranno (Salmi 84,11).

Gentili Signore e Signori, oggi ci basti ringraziare Dio per tutto ciò che ci è stato donato in questi quarant’anni di un cammino comune, e ringraziare tutti coloro che hanno collaborato alla riconciliazione, l’amicizia e la pace ebraico-cristiana. Preghiamo affinché il Signore ci accompagni anche nei prossimi quarant’anni e – se gli sarà gradito – per molti altri anni ancora, verso un futuro pacifico in cui – secondo la promessa fatta ad Abramo – insieme potremo essere una benedizione per tutte le famiglie della terra (Gen 12, 2 s).




(1) Pier Francesco Fumagalli (a cura di) Fratelli Prediletti, Chiesa e Popolo Ebraico. Documenti e fatti: 1965-2005, Prefazione di Walter Kasper, Mondadori, Uomini e Religioni, Saggi, Milano 2005.

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Inserito 01/01/1970