Benedetto XVI, Papa (Ratzinger, Joseph) 1927-
Città del Vaticano 09/10/2008
(…)In Germania, dove svolse il compito di Nunzio Apostolico, prima a Monaco di Baviera e poi a Berlino sino al 1929, lasciò dietro di sé una grata memoria, soprattutto per aver collaborato con Benedetto XV al tentativo di fermare “l’inutile strage” della Grande Guerra, e per aver colto fin dal suo sorgere il pericolo costituito dalla mostruosa ideologia nazionalsocialista con la sua perniciosa radice antisemita e anticattolica. Creato Cardinale nel dicembre 1929, e divenuto poco dopo Segretario di Stato, per nove anni fu fedele collaboratore di Pio XI, in un’epoca contrassegnata dai totalitarismi: quello fascista, quello nazista e quello comunista sovietico, condannati rispettivamente dalle Encicliche Non abbiamo bisogno, Mit Brennender Sorge e Divini Redemptoris.
“Chi ascolta la mia parola e crede… ha la vita eterna” (Gv 5,24). Questa assicurazione di Gesù, che abbiamo ascoltato nel Vangelo, ci fa pensare ai momenti più duri del pontificato di Pio XII quando, avvertendo il venir meno di ogni umana sicurezza, sentiva forte il bisogno, anche attraverso un costante sforzo ascetico, di aderire a Cristo, unica certezza che non tramonta. La Parola di Dio diventava così luce al suo cammino, un cammino nel quale Papa Pacelli ebbe a consolare sfollati e perseguitati, dovette asciugare lacrime di dolore e piangere le innumerevoli vittime della guerra. Soltanto Cristo è vera speranza dell’uomo; solo fidando in Lui il cuore umano può aprirsi all’amore che vince l’odio. Questa consapevolezza accompagnò Pio XII nel suo ministero di Successore di Pietro, ministero iniziato proprio quando si addensavano sull’Europa e sul resto del mondo le nubi minacciose di un nuovo conflitto mondiale, che egli cercò di evitare in tutti i modi: “Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra”, aveva gridato nel suo radiomessaggio del 24 agosto 1939 (AAS, XXXI, 1939, p. 334).
La guerra mise in evidenza l’amore che nutriva per la sua “diletta Roma”, amore testimoniato dall’intensa opera di carità che promosse in difesa dei perseguitati, senza alcuna distinzione di religione, di etnia, di nazionalità, di appartenenza politica. Quando, occupata la città, gli fu ripetutamente consigliato di lasciare il Vaticano per mettersi in salvo, identica e decisa fu sempre la sua risposta: “Non lascerò Roma e il mio posto, anche se dovessi morire” (cfr Summarium, p.186). I familiari ed altri testimoni riferirono inoltre delle privazioni quanto a cibo, riscaldamento, abiti, comodità, a cui si sottopose volontariamente per condividere la condizione della gente duramente provata dai bombardamenti e dalle conseguenze della guerra (cfr A. Tornielli, Pio XII, Un uomo sul trono di Pietro). E come dimenticare il radiomessaggio natalizio del dicembre 1942? Con voce rotta dalla commozione deplorò la situazione delle “centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento” (AAS, XXXV, 1943, p. 23), con un chiaro riferimento alla deportazione e allo sterminio perpetrato contro gli ebrei. Agì spesso in modo segreto e silenzioso proprio perché, alla luce delle concrete situazioni di quel complesso momento storico, egli intuiva che solo in questo modo si poteva evitare il peggio e salvare il più gran numero possibile di ebrei. Per questi suoi interventi, numerosi e unanimi attestati di gratitudine furono a lui rivolti alla fine della guerra, come pure al momento della morte, dalle più alte autorità del mondo ebraico, come ad esempio, dal Ministro degli Esteri d’Israele Golda Meir, che così scrisse: “Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo, durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata a favore delle vittime”, concludendo con commozione: “Noi piangiamo la perdita di un grande servitore della pace”.
Purtroppo il dibattito storico sulla figura del Servo di Dio Pio XII, non sempre sereno, ha tralasciato di porre in luce tutti gli aspetti del suo poliedrico pontificato. Tantissimi furono i discorsi, le allocuzioni e i messaggi che tenne a scienziati, medici, esponenti delle categorie lavorative più diverse, alcuni dei quali conservano ancora oggi una straordinaria attualità e continuano ad essere punto di riferimento sicuro. Paolo VI, che fu suo fedele collaboratore per molti anni, lo descrisse come un erudito, un attento studioso, aperto alle moderne vie della ricerca e della cultura, con sempre ferma e coerente fedeltà sia ai principi della razionalità umana, sia all’intangibile deposito delle verità della fede. Lo considerava come un precursore del Concilio Vaticano II (cfr Angelus del 10 marzo 1974).
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Inserito 01/01/1970
Relazioni Ebraico-Cristiane
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