Humani Generis Unitas - Bozza dell'Enciclica

Tutti i documenti (830)

Pio XI (Ratti, Achille) 1922 -1939

Città del Vaticano       1938

Nel 1938, su richiesta di Papa Pio XI, tre Gesuiti prepararono la bozza di un’enciclica che il papa progettava di emettere sulla condanna del nazismo in quanto contrario alla fede cristiana. Gli autori della bozza erano un francese, Gustave Desbuquois, S.J.; un tedesco, Gustav Gundlach, S.J. e un americano, John LaFarge, S.J.  Per rigettare il razzismo, la bozza traeva argomenti a  partire dalla umanità comune di tutti i popoli creati a immagine di Dio, ma la sezione sull’antisemitismo, stralciata sotto, offriva un argomento teologico a favore della discriminazione contro gli ebrei.  Pio XI morì non molto tempo che la bozza era stata sottoposta alla sua attenzione e il progetto venne abbandonato. Non si sa se il papa la lesse mai. Si deve sottolineare che la bozza non divenne mai una dichiarazione ecclesiastica ufficiale. Comunque fornisce le linee del clima teologico prevalente.

Fonte: Georges Passelecq, Bernard Suchecky, L'enciclica nascosta di Pio XI. Un'occasione mancata dalla Chiesa cattolica nei confronti dell'antisemitismo, Milano: Corbaccio 1997, pp. 218-251.

 

5. Gli Ebrei e l'antisemitismo (Separazione religiosa)

131 — Coloro che hanno innalzato la razza su questo piedistallo usurpato hanno reso un cattivo servizio all'umanità. Poiché non hanno fatto nulla per andare verso l'unità a cui tende e aspira l'umanità. Ci si domanda naturalmente se questo fine è lealmente perseguito da molti dei principali sostenitori di una pretesa purezza della razza o se il loro disegno non si indirizza piuttosto a forgiare un'abile parola d'ordine per trascinare le masse verso fini ben differenti. Il sospetto cresce allorché si considera quanto le suddivisioni di una stessa razza siano giudicate e trattate differentemente dagli stessi uomini nello stesso tempo. Aumenta ancora quando diventa chiaro che la lotta per la purezza della razza finisce per essere unicamente la lotta contro gli ebrei, lotta che non differisce né per i veri motivi, né nei metodi — se non per la crudeltà sistematica — dalle persecuzioni esercitate ovunque contro gli ebrei fin dall'antichità. Tali persecuzioni sono state riprovate, in più di un'occasione, dalla Santa Sede, soprattutto quando stendevano il mantello del cristianesimo per ripararvisi sotto.

L'attuale persecuzione degli ebrei

132 — Una volta scatenata la persecuzione, milioni e milioni di persone vengono spogliate, sul suolo stesso della loro patria, dei più elementari diritti e privilegi del cittadino, viene loro rifiutata la protezione della legge contro la violenza e il furto, l'insulto e la vergogna sono all'ordine del giorno, sí arriva fino a gettare il marchio del crimine addosso a persone fino ad oggi scrupolosamente rispettose della Legge del loro paese. Quelli che hanno valorosamente combattuto per la patria sono trattati da traditori; i figli di quelli che sono caduti sul campo di battaglia diventano, solo a causa della loro parentela, dei fuorilegge. I valori patriottici, a cui si fa appello con tanto ardore a profitto di questa o quella classe di cittadini, cadono nel ridicolo non appena li si invoca a favore degli sventurati che la loro razza esclude dalla comunità.

Questo flagrante rifiuto della più elementare giustizia nei confronti degli ebrei ne spinge a migliaia in esilio, a caso, sulla faccia della terra, privi di risorse: Erranti di terra in terra, essi sono un fardello per sé stessi e per tutta l'umanità.

Questione non di razza ma di religione

133 — Eppure, questa ingiusta, impietosa campagna contro gli ebrei condotta sotto la bandiera del cristianesimo, ha almeno questo vantaggio, per così dire, sulla lotta razziale, che essa ricorda la vera natura, la base autentica della separazione sociale degli ebrei dal resto dell'umanità. Questa base presenta un carattere immediatamente religioso; la cosiddetta questione ebraica, nella sua essenza, non è una questione né di razza, né di nazione, né di nazionalità territoriale, né di diritto di cittadinanza nello Stato. È una questione di reli­gione e, dopo l'avvento del Cristo, una questione di cristia­nesimo.

Per comprendere bene l'errore fondamentale di questa politica antisemita, la sua dannosità e per giunta la sua inef­ficacia proprio in ordine a quei risultati che ci si propone di raggiungere, bisogna rifarsi all'insegnamento tradizionale della Chiesa su questo problema, al suo atteggiamento pra­tico e anche alla lezione della storia.

Posizione della Chiesa nei confronti dell'ebraismo

Insegnamento della Rivelazione

134 — Dal punto di vista storico, si constata che nel corso dell'e­voluzione dell'umanità un solo popolo è stato favorito, per dirla in termini precisi, da una vocazione. E il popolo ebrai­co, scelto dall'Onnipotente per preparare la via all'incarna­zione in questo mondo del suo unico Figlio, «...sono Israe­liti, di loro è l'adozione a figli, e la gloria, le alleanze, a loro è stata data la legge, loro è il culto, loro sono le promesse, loro sono i patriarchi, da loro proviene Cristo secondo la sua na­tura umana...» (Rom IX, 4e 5).

135 — La vocazione del popolo ebraico nel momento più subli­me della sua evoluzione ha preso corpo in un evento inau­dito e senza precedenti, evento che ha sconvolto il corso del­la storia e l'ha profondamente trasformato. In un determina­to momento del tempo, in un luogo ben preciso dello spa­zio, in una delle tribù di Israele, è nato da una giovi­netta ebrea, per opera dello Spirito Santo, colui che da tanti secoli i profeti d'Israele avevano annunciato e atteso: Gesù Cristo. La sua missione e il suo insegnamento dovevano per­fezionare la missione storica e l'insegnamento di Israele. La sua nascita, la sua vita, le sue sofferenze, la sua morte, la sua resurrezione, furono il compimento delle figure e delle pro­fezie che l'annunciavano. Pur in tutta la sua eccezionalità, questo evento è legato a un altro fatto non meno straordina­rio, anch'esso senza precedenti storici. Il Salvatore, che Dio,in risposta a preghiere ed appelli millenari, aveva inviato al suo popolo prediletto, fu respinto da questo popolo, violen­temente ripudiato e condannato come un criminale dai più alti tribunali della nazione in collusione con l'autorità paga­na che teneva il popolo ebraico sotto il suo dominio. Infine, fu messo a morte.

Attraverso le sofferenze e la morte del Salvatore, si compì la Redenzione a vantaggio dell'intera umanità; i peccati del mondo sono stati cancellati; si sono aperte le porte dèl Cie­lo. Il secondo Adamo restituì all'uomo i privilegi da cui il peccato dei suoi primi genitori l'aveva spodestato, e fu fon­dato per l'eternità il Regno spirituale del Cristo. La Reden­zione ha aperto le porte della salvezza eterna a tutta l'uma­nità; ha creato un regno universale, in cui non esistono di­stinzioni fra ebreo e gentile, fra greco e barbaro. Il gesto stesso col quale il popolo ebraico ha messo a morte il suo Salvatore e suo Re costituì, per usare l'energico linguaggio di San Paolo, la salvezza del mondo.

136 — D'altra parte, accecati da sogni di conquista temporale e di successo materiale, gli ebrei persero proprio quello che avevano cercato. Alcune anime elette fanno eccezione a que­sta regola generale: i discepoli del Salvatore, i primi cristiani israeliti e, attraverso le età, un'infima minoranza del popolo ebraico. Accettando l'insegnamento di Cristo e lasciandosi incorporare alla sua Chiesa, quelle anime sono entrate in possesso dell'eredità cristiana, ma furono delle eccezioni nel passato e lo sono anche oggi. «Quello che Israele cerca non l'ha ottenuto; l'hanno ottenuto invece gli eletti, gli altri furono induriti.» (Rom xi , 7). «Ma a motivo della loro ca­duta» dice San Paolo, cioè, a causa del ripudio di Cristo da parte degli ebrei, fatto che costituì la loro rovina temporale e spirituale « la salvezza pervenne ai Gentili.» (Ibid. 11).

Di più: questo malaugurato popolo, che si è affondato da solo nella disgrazia, i cui capi accecati hanno chiamato sulle proprie teste la maledizione divina, condannato pare a erra­re eternamente sulla faccia della terra, è stato tuttavia pre­servato, per opera di una misteriosa Provvidenza, dalla rovi­na totale e si è conservato attraverso i secoli fino ai giorni nostri. Nessuna spiegazione naturale, sembra, riesce a ren­dere conto in modo soddisfacente di questa esistenza pro­lungata all'infinito e di questa indistruttibile coerenza del popolo ebraico.

Insegnamento di San Paolo

137 — San Paolo, rivolgendosi ai Gentili, indica chiaramente l'apparente contraddizione fra l'incredulità del popolo ebraico da una parte e, dall'altra, il ruolo provvidenziale che gli è stato riservato nell'economia della salvezza dell'u­manità. Ma si spinge ancora più lontano e ricorda che non bisogna disperare della salvezza d'Israele, che la Redenzio­ne, compiuta attraverso il rifiuto del Salvatore e la sua mor­te, estende i suoi frutti salvifici non solo ai Gentili, ma per­fino al popolo che l'ha rifiutata, alla sola condizione che egli si penta e riconosca il Cristo come suo Salvatore. « così anch'essi sono ora divenuti disobbedienti in vista della mise­ricordia da usarsi verso di voi, affinché anch'essi ora possa­no cominciare a ottenere misericordia. » (Ibid., 311.

138 — Sebbene il mondo pagano,- nella misura in cui si è conver­tito all'insegnamento del Cristo, partecipi alla realizzazione delle promesse fatte al popolo ebraico, tuttavia non ha di che gloriarsene. San Paolo spiega il suo pensiero in una me­tafora affascinante: il popolo di Israele è un ulivo sul quale sono stati innestati i rami di un olivastro selvatico (Rom xi, 16-24). Le radici dell'Albero — i Patriarchi della vecchia Legge — sono sacre, e anche, almeno nella loro vocazione originale, i suoi rami. Ma fra questi rami alcuni — gli Ebrei increduli — si sono staccati dall'albero e sono caduti a terra. Al contrario i rami dell'olivastro selvatico — i pagani — sono stati innestati sull'ulivo. Tuttavia i Gentili, anche dopo la lo­ro conversione alla vera Fede e la loro incorporazione nella Chiesa del Cristo, devono ricordare tre cose.

È grazie alle radici e alla linfa del vecchio albero che pos­sono godere della vita soprannaturale.

I cristiani, venuti dalla Gentilità, lungi dal portare le radi­ci dell'albero, sono da queste sorretti: cioè, non è Israele che riceve la salvezza dai Gentili, ma proprio il contrario. I Gentili, se si allontanano dalla religione del Cristo e si abbando­nano a un presuntuoso accecamento, condivideranno certa­mente la sventurata sorte dei rami caduti. « Essi furono ta­gliati via a causa della loro mancanza di fede, mentre tu stai in piedi in forza della fede; non ti abbandonare all'orgoglio, ma temi.»

139 — Tuttavia San Paolo non si accontenta solo di mettere in guardia i Gentili contro una confidenza eccessiva. Egli non nega la possibilità di salvezza per gli ebrei, purché rin­neghino il loro peccato e ritornino alle tradizioni spirituali di Israele, tradizioni che, a causa del passato del popolo ebrai­co e della sua vocazione storica, sono veramente loro, poi­ché è solo per effetto di una grazia particolare che i Gentili ne divengono beneficiari. Quando si presenta il momento di questo ritorno — che si tratti di individui (così è stato nel passato, così è anche oggi) o del popolo ebraico nella sua totalità — coloro che ritornano al Cristo si trovano piena­mente a casa loro, quasi in famiglia, più di tutti gli altri po­poli del mondo.

C'è sempre stato, ai tempi di San Paolo e in seguito, un residuo scelto per grazia. Reliquiae salvae factae sunt (Rom xi, 5). Così l'Apostolo si volge verso il futuro, e con voce profetica indica nella conversione dei Gentili il segno pre­cursore che annuncia il ritorno e la conversione di Israele, di Israele nella sua totalità, omnis Israél, non solo degli indi­vidui, ma del popolo ebraico nel suo insieme.

140 — Israele è incorso nella collera divina perché ha respinto il Vangelo. E tuttavia, proprio per questo, ha affrettato l'evan­gelizzazione del mondo, e di conseguenza la conversione della Gentilità. Israele rimane il popolo un tempo eletto, poiché Dio non è mai ritornato sulla propria scelta. Per l'ineffabile misericordia di Dio, anche Israele può godere della Redenzione che, rifiutandosi di accettare, ha esteso, per così dire, alla Gentilità priva di fede. « Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare misericordia a tutti.» (Conclusit enim Deus omnia in incredulitate, ut omnium mi­sereatur.) «O profondità della ricchezza, saggezza e conoscenza di Dio! » (O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei!).

   Conseguenze storiche della caduta di Israele

141— Ma, passando dal piano invisibile del soprannaturale alla realtà storica, questo profondo paradosso si concretizza in situazioni ben definite. In seguito al ripudio del Messia da parte del suo popolo e all'accettazione del messaggio cristia­no da parte del mondo pagano che non era stato compreso nelle promesse divine, possiamo vedere nel popolo ebraico un'inimicizia costante nei confronti del cristianesimo. Da cui risulta una tensione costante fra Ebreo e Cristiano che non si è mai realmente allentata, anche se si è manifestata spesso in maniera molto mite.

    Riserve della Chiesa

142 — L'alta dignità che la Chiesa ha sempre riconosciuto alla missione storica del popolo ebraico, i suoi ardenti voti per la sua conversione, non la rendono tuttavia cieca sui pericoli spirituali che possono correre le anime a contatto con gli ebrei. Essa non ignora che ha il dovere di vegliare sulla sicu­rezza morale dei suoi figli. Un dovere che non è certo meno urgente oggi che in passato. Fintanto che persiste la man­canza di fede del popolo ebraico e che continua la sua osti­lità contro il cristianesimo, la Chiesa deve indirizzare ogni suo sforzo per prevenire i pericoli che questa mancanza di fede e questa ostilità potrebbero creare alla fede e ai costumi dei suoi fedeli. Quando in più la Chiesa scopre che l'odio contro la religione cristiana — di origine ebraica o meno ­spinge dei poveri traviati a sostenere e a fomentare movi­menti rivoluzionari che aspirano solo a rovesciare. l'ordine sociale e a sottrarre alle anime la conoscenza, il rispetto e l'a­more di Dio, è suo dovere mettere in guardia í suoi figli con­tro questi movimenti, svelare i trucchi e le menzogne dei lo­ro capi, adottare le misure che ritenga necessarie per proteg­gere i suoi fedeli.

La storia ci insegna che la Chiesa non è mai venuta meno al dovere di premunire i fedeli contro gli insegnamenti degli ebrei, qualora le dottrine in questione minaccino la fede. La Chiesa non ha mai sottovalutato l'incredibile vigore dei rim­proveri che Santo Stefano, primo martire, lanciava a quegli ebrei ostinati che consapevolmente resistevano al richiamo della grazia: « Uomini dalla testa dura...» (Atti VII, 51). Ha ugualmente messo in guardia contro i troppo facili rap­porti con la comunità ebraica, rapporti che potrebbero in­trodurre nella vita cristiana costumi e modi di vedere le cose incompatibili col suo ideale. L'intransigente energia e la cal­ma riserva che hanno volta a volta accompagnato quegli av­vertimenti e quelle misure di difesa personale corrispondono non a variazioni della dottrina — la dottrina non è mai cam­biata — ma a un cambiamento delle situazioni o a nuovi atteg­giamenti degli stessi ebrei. Del resto, la politica della Chiesa in questa materia non deve essere confusa con il comporta­mento dei singoli individui. Tale politica è definita dall'epi­scopato cattolico nel suo insieme, dai concili, soprattutto se ecumenici, e infine e soprattutto dai Sovrani Pontefici.

143 — Tuttavia, sebbene, da una parte, l'insegnamento della Chiesa sulle relazioni fra comunità ebraica e comunità cri­stiana e il suo atteggiamento pratico nei confronti dei pro­blemi sollevati dimostrino chiaramente la necessità di pren­dere energiche misure per salvaguardare la fede e i costumi dei suoi fedeli e proteggere la società contro le perniciose influenze dell'errore, dall'altra parte la dottrina tradizionale della Chiesa prova, con non minore chiarezza, l'impotenza e l'inefficacia dell'antisemitismo come mezzo per raggiungere quello scopo. L'antisemitismo si rivela penosamente inferio­re al compito che si propone e controproducente rispetto ai suoi scopi, poiché non fa che creare numerosi e più temibili ostacoli.

    Condanna dell'antisemitismo

144 — Che i metodi persecutori dell'antisemitismo non possano in alcun modo conciliarsi con l'autentico spirito della Chiesa cattolica, lo prova definitivamente un decreto della Sacra Congregazione dei Riti del 25 marzo 1928: « La Chiesa cat­tolica ha sempre avuto la consuetudine di pregare per il po­polo ebraico, portatore della Rivelazione divina fino all'avvento del Cristo, e questo malgrado il suo susseguente acce­camento, o piuttosto proprio a causa del suo accecamento. Ispirata da questo amore, la Sede Apostolica ha sempre pro­tetto il popolo ebraico contro gli ingiusti attacchi di cui era vittima, e come stigmatizza le gelosie e le lotte fra nazioni, così e in modo  tutto particolare condanna questo odio a cui si dà oggi il nome di antisemitismo». (Acta Ap. Sedis, xx, 1928). Ecclesia enim catholica pro populojudaico, qui divinarum usque ad Iesum Christum promissionum depositarius fuit, non obstante subsequente eius obcaecatione, immo ipsius obcaecationis causa, sempre orare consuevit. Qua caritate permota Apostolica Sedes eumdem populum contra injustas vexationes protexit et quemadmodum omnes invidias ac simultates inter populos reprobat, ita vel maxime damnat odium nempe illud quod vulgo antisemitismi nomine nunc significari solet.

   Le persecuzioni non fanno che accentuare i mali.

145 — La lezione della storia ha dimostrato a più riprese che le persecuzioni, lungi dal cancellare o attenuare í caratteri ami-sociali o nocivi di un gruppo oppresso, non fanno Che ac­centuare le tendenze che li hanno prodotti. Quel che era so­lo un orientamento abbastanza dinamico e una serie di va­ghe tendenze individuali o di gruppi insignificanti si concre­tizza, sotto l'azione della persecuzione, in un insieme di trat­ti generalizzati, fortemente caratterizzati e definiti. L'oppo­sizione non farà che accentuarli ancora di più. Le vittime della persecuzione sono convinte di trovare nella persecu­zione e nell'oppressione la giustificazione degli atteggiamen­ti che si volevano sopprimere.

      Effetti della persecuzione

146 — Le terribili minacce che pesano sull'intera società da quan­do sono siate pronunciate queste parole, pericoli che risul­tano dal rifiuto da parte dei padroni del mondo di prestare orecchio agli appelli del Vicario di Gesù Cristo a favore del­la carità e della pace, mostrano con quale facilità delle ideo­logie distruttive possono prendere corpo nell'anima dei po­poli eccitati dalla persecuzione fino alla furia.

Le vittime dell'ingiustizia spesso diventano a loro volta persecutrici. L'amarezza che suscita in loro la vista della propria miserabile situazione le spinge verso possibili rivin­cite contro tutti quelli che a loro paiono più fortunati. Così, i perseguitati di una classe sociale o di una nazione prestano volentieri attenzione ai discorsi di coloro che, cercando di trarre partito da questo risentimento, vogliono accendere nei cuori gli odi fra classi e fra popoli. Il risentimento, così naturale contro ogni forma di persecuzione, sia essa politica, sociale o economica, è facilmente alimentabile coi moderni metodi di diffusione delle idee e di manipolazione dell'opi­nione pubblica: diviene un fertile terreno pronto ad acco­gliere le idee più devastanti. I campioni di queste teorie del­la violenza, sebbene spesso siano giocate le une contro le al­tre in antagonismi irriducibili, fanno tuttavia fronte comune nel loro odio contro la fede cristiana.

È evidente che non è con l'odio che si potrà sperare di vincere l'odio: sarebbe come gettare benzina sul fuoco. Non ci si arriverà nemmeno con la diffusione di errori e di calunnie. Il Cristo Nostro Signore, consegnato alla tortu­ra e alla morte dai perfidi Farisei, non per questo ha invitato i discepoli a prendere in prestito dai suoi persecutori le armi della calunnia, dell'odio e dell'orgoglio per trattare con l'in­felice popolo tradito da quegli stessi Farisei.

    Attacchi alla religione

147 — Lo zelo contro il peccato si è presto mutato in rabbia con­tro il peccatore; ma questo nuovo fervore getta immediata­mente la maschera e si mostra per quello che è: un attacco, col pretesto di proteggere la società contro questo o quel gruppo sociale, contro i fondamenti della società, il richia­mo all'odio implacabile, l'invito a ogni forma di violenza, di rapacità e di disordine, una macchina da guerra contro la religione.

In questo modo l'antisemitismo fornisce un pretesto per attaccare la sacra persona del Salvatore, poiché ha scelto di essere figlio di una donna ebrea; scatena una guerra contro Il cristianesimo, il suo insegnamento, i suoi costumi e le sue istituzioni; cerca di ostacolare la Chiesa in ogni modo, spingendola verso l'una o l'altra delle seguenti alternative: o as­sociare il cattolicesimo all'antisemitismo nel suo disprezzo radicale di tutto ciò che è ebreo, per cui il cattolicesimo do­vrebbe partecipare alle campagne di odio e di umiliazione condotte contro gli ebrei, oppure compromettere la Chiesa, implicandola in macchinazioni e lotte politiche, interpretan­do nel senso di una politica eminentemente umana la sua di­fesa — quanto mai legittima — dei principi cristiani di giusti­zia e umanità. Tali sono i figli perversi di cui parla il Salva­tore; questi seminatori di discordia se la prendono sempre con la Sposa di Cristo: «A chi dunque paragonerò gli uomi­ni di questa generazione, e a chi sono simili? Sono simili a quei fanciulli che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri dicendo: 'Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato nenie e non avete pianto. » (Lc vii, 32,33 [ma: 31, 32]).

    Risposta della Chiesa all'antisemitismo

148 — La risposta della Chiesa alla sfida dell'antisemitismo è sen­za equivoci né esitazioni. La sua risposta non è dettata da nessuno spirito politico profano, ma dalla sua fedeltà al pre­zioso deposito di Verità che il suo divino Fondatore le ha affidato, e che, grazie all'assistenza personale dello Spirito Santo, ha conservato fino ai nostri giorni nella sua purezza originale. Verità che rivela all'uomo ciò che va oltre la sua ragione e che, d'altra parte, conferma e completa altre verità di ordine naturale che non sono inaccessibili a un'intelligen­za umana libera e disinteressata. La Chiesa non cerca vitto­rie e trionfi politici: non si preoccupa di alleanze con gli Sta­ti o di combinazioni politiche. Così, si disinteressa dei pro­blemi di ordine puramente profano in cui può trovarsi im­plicato il popolo ebraico. Poiché riconosce che la differente situazione degli ebrei nei diversi paesi del mondo può forni­re l'occasione a diversissimi problemi di ordine pratico, essa lascia la soluzione di questi problemi ai poteri competenti, insistendo solamente sul fatto che nessuna soluzione è una vera soluzione se contraddice le esigentissime leggi della giu­stizia e della carità. Le sue preoccupazioni sono di tutt'altro ordine: conservare intatto il deposito di Verità che le è stato affidato, premunire i propri figli contro il male e l'errore, ve­gliare alla piena realizzazione dei principi della vita del suo Salvatore, e infine, attraverso la sua benefica influenza, con­durre il maggior numero possibile di anime alla loro dimora eterna, il Cielo. Come ha detto bene qualcuno: « Mille sono le cose che costituiscono l'oggetto dei desideri dell'uomo, ma la Chiesa ne desidera una sola: la salvezza delle anime ». (E. Rodocanachi, La Santa Sede e gli ebrei).

    Sollecitudini religiose per gli ebrei

149 — Nel vasto quadro dell'evoluzione storica, il popolo ebraico occupa un posto unico e doloroso. Esso presenta, come ab­biamo visto, lo strano paradosso di essere ad un tempo l'og­getto di una innegabile sollecitudine di Dio e di avere respin­to quelle offerte divine. Con questo è diventato un ostacolo per tutti gli altri popoli, pur senza cessare di essere mantenu­to in vita, per stupefacente sollecitudine da parte di Dio.

L'asprezza con cui la coscienza cristiana rimprovera pe­riodicamente al popolo ebraico di avere respinto il Cristo e la sua dottrina, e di comportarsi da irriducibile avversario del cristianesimo, l'amarezza non riiflo profonda con la quale gli ebrei fanno valere le loro lagnanze contro la religio­ne cristiana, mostrano bene che tale antagonismo è di ordi­ne ideologico, che il conflitto si svolge meno attorno ai beni materiali che ai valori spirituali. Il che implica una testimo­nianza il cui valore è riconosciuto dagli interessati: i valori umani più nobili, bisogna cercarli nel campo della libertà e della responsabilità morale di fronte al bene e al male, poi­ché solo un ideale spirituale può servire da misura adeguata ai valori umani. Per cui bisogna concludere sull'impossibili­tà di arrivare alla soluzione di un conflitto del genere facen­do appello a una filosofia di vita materialista, per non dire fisica. La sana ragione e la Fede ci invitano ad abbandonare le soluzioni della violenza, della forza o della brutale coerci­zione, a favore di misure dettate da un sano spiritualismo.

    La conversione degli Ebrei

150 — In che modo Israele potrà tornare al suo Dio? Quando sa­prà riconoscere la Casa del Padre nella Chiesa di Gesù Cristo? È un segreto di Dio. Quanto alle conversioni individuali, esse non devono procedere da un proselitismo indiscreto o     da motivi da cui l'opportunismo e la speranza di qualche bene materiale non siano totalmente assenti. Esse devono essere l'esito normale della convinzione fondata sullo studio, controllata dalla riflessione e liberamente formata in spirito di umiltà e di sacrificio. Un cristiano non potrebbe concepi­re nessuna altra ipotesi in accordo con la dottrina della Chiesa. Ogni altro metodo sarebbe un premio offerto a un'i­pocrisia più pericolosa ancora di un'aperta resistenza da parte degli ebrei alle rivendicazioni cristiane.

    Appello alla preghiera

151 — La nostra Fede cristiana ci invita a invocare ardentemente il momento in cui Ebrei e Gentili saranno riuniti nella Casa del Padre comune, e a pregare per affrettare il giorno tanto atteso. Facciamo ricorso specialmente all'onnipotente inter­cessione della Madre di Dio, anch'essa figlia di Israele, per­ché sí realizzino, secondo le parole della supplica presentata ai Padri del Concilio Vaticano e firmata da 570 di loro, gli auspici del suo cantico sublime: «Soccorse Israele suo ser­vo, ricordandosi della misericordia — come aveva promesso ai nostri padri — a favore di Abramo e della sua discendenza in eterno ». Suscepit Israel puerum suum, recordatus miseri­cordiae suae: sicut locutus est ad patres nostros, Abraham et semini eius in saecula (Lc i, 54, 55).

    Fare la verità

152 — Per collaborare, nella misura delle nostre forze, al ritorno di Israele, dobbiamo ancora far risplendere nelle nostre vite la pratica cristiana: è un dovere. Lo assolveremo facendo la verità nella carità, facientes veritatem in caritate (Ef  iv,15) nella prudenza e nella scrupolosa giustizia, e in doviziosa ca­rità. Per amore della verità incoraggiamo tutte le cose che aiutano a diffondere il vero, a cacciare la menzogna, la ca­lunnia, i rancori ingiustificati. L'epoca moderna mette a no­stra disposizione inaudite facilitazioni per promuovere la causa della giustizia e della carità. Approfittiamone per di­fendere i diritti individuali e familiari, per soccorrere gli infelici che chiedono aiuto e pietà, per condannare energica­mente l'antisemitismo e il razzismo non appena questi per­niciosi errori alzano la testa, e infine per collaborare, per il maggior bene della comunità, con tutti gli uomini di buona volontà che respingono con tutto il cuore i grossolani errori del materialismo.

256 visualizzazioni.
Inserito 11/02/2014