Rettifica necessaria nell’insegnamento cristiano: i 18 punti

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Isaac, Jules

Svizzera       1947

Prima della Seconda Guerra Mondiale, lo storico ebreo francese JulesIsaac era stato Ispettore generale della Pubblica Istruzione in Francia. All'indomanidei campi di sterminio della prima guerra mondiale, cercò di utilizzare manuali di storia per promuovere la pace tra Francia e Germania.  Tuttavia, la maggior parte della sua famiglia fu uccisa dai nazisti durante la Shoah. In seguito, si dedicò alla ricerca delle origini dell’antisemitismo culturale e religioso. Nel suo libro Jésus  et Israël,  pubblicato nel 1948, propose che i seguenti punti divenissero parte dell’educazione cristiana. Li aveva presentati in precedenza durante un “Congresso di Emergenza sull’Antisemitismo” tenuto a Seelisberg, Svizzera dal 30 luglio – 5 agosto 1947, che costituisce la base dei 10 Punti di Seelisberg.

Per maggior precisione mi sia consentito di sottoporre all'esame dei cristiani di buona volontà — che sono d'accordo sulla necessità d'una riforma — i diciotto punti seguenti, destinati a servire almeno come base di discussione.

 Un insegnamento cristiano degno di questo nome dovrebbe:

1) dare a tutti i cristiani una conoscenza almeno elementare dell'Antico Testamento; insistere sul fatto che l'A.T., essenzialmente semitico nella sostanza e nella forma, era la Sacra Scrittura degli Ebrei, prima di diventare la Sacra Scrittura dei cristiani;

2) ricordare che una gran parte della liturgia cristiana è tolta dall'A. T. e che l'A. T., opera del genio ebraico (illuminato da Dio), è stato fino ai nostri giorni una sorgente continua d'ispirazione per la letteratura, per l'arte e per il pensiero cristiani;

3) non tacere il fatto di capitale importanza che è al popolo ebraico, da Lui eletto, che Dio si è rivelato per la prima volta in tutta la sua onnipotenza; che per mezzo del popolo ebraico la fede fondamentale in Dio è stata salvaguardata, poi trasmessa al mondo cristiano;

4) riconoscere e dire lealmente, ispirandosi alle più fondate ricerche storiche, che il cristianesimo è nato da un ebraismo non degenerato ma pieno di vitalità, come lo provano la ricchezza della letteratura ebraica, l'indomita resistenza dell'ebraismo al paganesimo, la spiritualizzazione del culto nelle sinagoghe, il dif-fondersi del proselitismo, la molteplicità delle sette e delle ten-denze religiose, l'apertura delle credenze; evitare di far conoscere il farisaismo storico con una semplice caricatura;

5) tener conto del fatto che la storia smentisce formalmente il mito teologico della Dispersione — castigo provvidenziale (della Crocifissione) — perché la dispersione del popolo ebraico era un fatto compiuto al tempo di Gesù e perché in quell'epoca, secondo ogni verosimiglianza, la maggioranza degli Ebrei non viveva più in Palestina; neppure dopo le due grandi guerre dl Giudea (I e II secolo) vi è stata dispersione di Ebrei palestinesi;

6) mettere in guardia i fedeli contro certe tendenze redazionali dei Vangeli, soprattutto nel quarto, la tendenza cioè ad usare di frequente il termine collettivo « i Giudei » in senso limitativo e peggiorativo (i nemici di Gesù: i sommi sacerdoti, gli scribi ed i farisei), procedimento che ha il risultato non solo di falsare le prospettive storiche, ma di ispirare l'orrore ed il disprezzo verso il popolo nel suo insieme, mentre in realtà questo popolo non è affatto in causa;

7) dire molto esplicitamente, affinché nessun cristiano lo ignori, che Gesù era Ebreo, che proveniva da un'antica famiglia ebraica, che fu circonciso secondo la Legge ebraica, otto giorno dopo la sua nascita, che il nome di Gesù (Jeshuah) è un nome ebraico grecizzato e che Cristo è l'equivalente del termine ebraico Messia; che Gesù parlava una lingua semitica, l'aramaico, come tutti gli Ebrei della Palestina; e che, a meno di leggere i Vangeli nel loro testo originale che è in lingua greca, non si può conoscere la Parola che attraverso una traduzione di traduzione;

8) riconoscere — con la Scrittura — che Gesù, nato « sotto la Legge » ebraica, ha vissuto « sotto la Legge »; che,  fino all'ultimo giorno, non ha cessato di praticare i riti dell’Ebraismo; non ha smesso di predicare il suo Vangelo nelle sinagoghe e nel Tempio;

9) non tralasciare la constatazione che, nel corso della sua vita terrena, Gesù è stato soltanto « il servitore dei circoncisi »  (Rom 15,8); che in Israele soltanto ha scelto i suoi discepoli; tutti gli apostoli erano ebrei come il loro Maestro;

10) far rilevare chiaramente che, secondo i testi evangelici, salvo rare eccezioni, fino all'ultimo giorno Gesù non ha cessato di riscuotere le simpatie entusiastiche delle masse popolari ebraiche, tanto a Gerusalemme che in Galilea;

11) astenersi dall'affermare che Gesù personalmente è stato respinto dal popolo ebraico; che questo ha rifiutato di riconoscerlo come Messia e Figlio di Dio; e ciò per la duplice ragione che la grande maggioranza del popolo ebraico non lo ha neppure conosciuto e che a quella parte del popolo che lo ha conosciuto Gesù non si è mai presentato pubblicamente ed esplicitamente in quella veste; ammettere che, secondo ogni verosimiglianza, il carattere messianico dell'entrata in Gerusalemme alla vigilia della Passione, non è stato notato che da un piccolo numero di persone;

12) astenersi dall'affermare che Gesù è stato rifiutato almeno dai capi e rappresentanti qualificati del popolo ebraico; quelli che l'han fatto arrestare e condannare, i sommi sacerdoti, erano i rappresentanti di una stretta casta oligarchica, asservita ai Romani e detestata dal popolo; quanto ai dottori ed ai Farisei, emerge dagli stessi testi evangelici che non erano unanimi nella loro ostilità a Gesù e niente prova che l'élite spirituale dell'ebraismo si sia associata al complotto;

13) guardarsi dal forzare il significato dei testi per trovare in essi la condanna collettiva d'Israele o una maledizione che nei Vangeli non è stata pronunziata esplicitamente in nessuna parte; tener conto del fatto che Gesù ha sempre manifestato sentimenti di amore e di compassione verso le masse popolari;

14) guardarsi soprattutto dall'affermazione corrente e tradizionale che il popolo ebraico ha commesso il delitto inspiegabile di deicidio e che se ne è assunto, collettivamente, tutta la responsabilità; astenersi da una simile affermazione non solo perché essa è dannosa, generatrice di odio e di crimini, ma anche perché essa è radicalmente falsa;

15) mettere in piena luce il fatto, sottolineato dai quattro Vangeli, che i sommi sacerdoti ed i loro complici hanno agito contro Gesù all'insaputa del popolo, anzi avendone paura;

16) per quanto riguarda il processo ebraico a Gesù, riconoscere che il popolo ebraico non c'entra, non ha avuto alcuna parte e forse non ne ha neanche saputo niente; che gli oltraggi e le brutalità che gli vengono attribuite sono stati compiuti dalle guardie o da qualcuno dei capi; che nel quarto Vangelo non vi è il minimo accenno ad un processo ebraico, ad una riunione del Sinedrio;

17) per quanto riguarda il processo romano, riconoscere che il procuratore Ponzio Pilato era del tutto arbitro della viti e della morte di Gesù; che Gesù fu condannato per pretese messianiche, il che era un delitto agli occhi dei Romani, ma non degli Ebrei; che la crocifissione era un supplizio specificamente rosile no; astenersi dall'imputare al popolo ebraico la corona di spine che, nel racconto dei Vangeli, è un gioco crudele della soldatesca romana; astenersi dall'identificare la folla aizzata dai sommi sacerdoti con l'intero popolo ebraico, d anche con il solo popolo ebraico della Palestina, i cui sentimenti antiromani sono indubitabili; osservare che il quarto Vangelo mette in scena esclusivamente i sommi sacerdoti ed i loro subalterni;

18) ed infine non dimenticare che il grido terribile: « Il suo sangue ricada su noi e sui nostri figli » non potrebbe prevalere contro la Parola: « Padre, perdona loro perché non sanno quel che fanno » (Lc 23,24).

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Fonte: Jules Isaac, Gesù e Israele, Marietti 1829, Genova 2001, 401-404

(Traduzione a cura di Maria Brutti)

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Inserito 13/02/2014