Thieme, Karl
Stati Uniti d'America 31/08/1954
Karl Thieme (1902-1963), figlio di un teologo luterano, provò una forte repulsione per l’ascesa dell’antisemitismo nazista. Insoddisfatto per la tiepida risposta della sua comunità alla crisi crescente, nel 1934 entrò nella chiesa cattolica romana. L’anno seguente emigrò dalla Germania verso la Svizzera, dove dedicò la sua vita ad aprire la strada a un nuovo atteggiamento teologico cristiano, positivo verso gli ebrei e l’ebraismo. Per decenni fu il consulente teologico di Gertrud Luckner per la pubblicazione del Freiburger Rundbrief, un periodico dedicato all’amicizia ebraico-cristiana. John Connelly lo ha elogiato come il primo maggior pensatore cattolico che riuscì ad aprire un varco verso la nuova vision che venne per ultimo ratificata al Vaticano II: che gli ebrei erano amati da Dio come ebrei e non come potenziali cristiani [From Enemy to Brother: The Revolution in Catholic Teaching on the Jews, 1933-1965 (Harvard University Press, 2012)]. Thieme preparò il testo che segue per la Seconda Assemblea del Consiglio Mondiale delle Chiese che ebbe luogo ad Evanston, Illinois, dal 15 al 31 Agosto del 1954. Il tema dell’assemblea era “Cristo – la Speranza del Mondo”. Le “tesi per Evanston” di Thieme furono pubblicate nel Freiburger Rundbrief, nn. 25-28 (1954), pp. 26-28 e sono tradotte qui da Victoria Barnett. Va notato che il suo riferimento sotto a Sofonia 3, 9 fu in seguito incluso in Nostra Aetate.
“La Speranza del Mondo: l’Azione Redentiva di Dio in Unità con il suo Unto”
Prologo: Le tesi sotto riportate furono preparate inizialmente come una bozza in vista del tema del “congresso ecumenico” di Evanston, “Gesù Cristo, la Speranza del Mondo”, poiché da parte cattolica doveva essere non solo una conversazione con i fratelli protestanti ma anche con i fratelli ebrei. La bozza venne poi discussa, sia per corrispondenza scritta che in conversazioni dirette con teologi cattolici di differenti paesi, cioè H. H. P. Démann, NDS (Belgio, H. Bévénot, SJ (Inghilterra), J. Hamer, OP (Francia), R. Grosche (Germania), C. F. Pauwels, OP e F. Thijssen (Olanda) e O. Karrer (Svizzera). Dopo aver preso in considerazione i suggerimenti dei teologi la bozza prese la forma qui riportata, in cui le tesi furono pubblicate come supplemento alla pubblicazione del Centro di Studi Cattolico ISTINA (Boulogne-sur-Seine) insieme ai temi di Evanston che i padri domenicani Congar e Dumont posero ai protestanti e che vennero ugualmente discussi al livello internazionale. Contemporaneamente ricevettero l’imprimatur della Chiesa.
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Il tema della speranza cristiana non può essere discusso senza un riferimento specifico al popolo ebraico, in un’epoca in cui per la prima volta nella storia cristiani ed ebrei sono stati, ed in certi casi lo sono ancora, perseguitati insieme, in cui poi una parte significativa del popolo ebraico fu autorizzato a ritornare alla terra dei loro padri e in cui la questione della mutua relazione tra la chiesa e la sinagoga è esplosa con un’urgenza del tutto nuova.
Attraverso il potere della divina chiamata al servizio dell’amore[1] , stato assegnato a noi “che siamo divenuti credenti tra i popoli del mondo”, attraverso i messaggeri che Dio ci ha inviato – gli apostoli del Messia promesso e i loro successori, i nostri vescovi – noi dunque testimoniamo - davanti ai nostri fratelli maggiori separati provenienti dalla discendenza di Abramo e della casa di Giacobbe, ciò che noi abbiamo imparato sulla redenzione del mondo attraverso le loro opere e di Dio, nell’unità più completa con la “stella di Giacobbe” e perciò siamo sicuri che noi crediamo quanto noi possiamo sperare. Poiché la nostra sola speranza è l’UNO “speranza di Israele” (Ger 17,13), il Dio eterno che non ha volute redimere il mondo senza la partecipazione della sua immagine e che sarà rivelato a tutti i popoli come il loro redentore nel giorno in cui avrà inizio il suo regno, che non sarà più né limitato né oscuro.
I Noi speriamo
A. insieme con i nostri fratelli maggiori:
- che questa terra sarà completamente illuminata dal Giorno del Signore, nel quale “i tempi della ricostituzione di tutte le cose” come Dio vuole saranno inconfondibili, anche per gli uomini di cattiva volontà (Ml 3, 22ss.; Mc 9, 11; At 3, 21)
- e con alcuni di loro, che L’UNO che ha subordinato tutte le cose al suo figlio amato, “ anch'egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti” (1 Cor 15, 28).
B. In un contrasto ancora temporaneamente irresolubile con i fratelli maggiori:
- che in quel giorno l’ “inizio del dominio di Dio” sarà manifesto nella persona dell’Uno che già 1924 anni fa cominciò il suo regno nel nascondimento della croce e della risurrezione, l’Uno che viene di nuovo, Jehoshua Nosri, Gesù di Nazareth, figlio di Maria, figlio della casa di David.
- che in quel giorno, come gradualmente anche alcuni dei nostri fratelli separati hanno imparato a riconoscere, noi non saremo risorti dagli inferi ma piuttosto che, se noi “moriamo nel Signore” ( Rm 14, 13) saremo già con lui (Fil 1, 23; cfr. Gv11, 23ss.).
II . Noi crediamo:
A. insieme con i nostri fratelli separati:
- che, a parte la deduzione filosofica del creatore divino dalle sue opere, con la quale la grazia di Dio illumina ogni ragione incorrotta (Sap 13, 1 ss;. Rm 1,20), il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe si era già rivelato agli avi e poi sul Sinai a tutto il popolo santo sacerdotale che egli aveva scelto, e ha dato loro l'eredità dell’alleanza della sua legge, il cui adempimento garantisce la vita.
- che la volontà di Dio di essere misericordioso verso questo popolo è indistruttibile e anche se (questo popolo) è angustiato, specialmente quando segue false vie ed è perfino autorizzato a sprofondare della condizione irriconoscibile di un “non popolo”, tuttavia non può mai essere rigettato definitivamente perché Dio mantiene la sua parola (Os 11, 8s.; Rm 9-11) e porterà ancora a compimento tutto ciò che, secondo la testimonianza dei suoi apostoli, deve essere ancora atteso (At 3, 21).
B. in un contrasto temporaneamente irrisolvibile con i fratelli maggiori:
- che Dio, come fu promesso nella legge e i profeti, ha trovato la sua irreprensibile controparte umana non solo in Gesù e Maria come esseri umani genuini, reali e completi tra gli esseri umani, ma realmente lui stesso è diventato umano in questo Gesù poiché solo in questo modo la redenzione dell’umanità caduta poteva essere sua opera esclusiva e insieme opera genuinamente umana, come doveva essere se l’adempimento secondo quanto annunciato è di garantire la nostra vita.
- che perciò ognuno di noi può raggiungere la meta di questa speranza solo nella partecipazione (stabilita in modo sacramentale) all’azione divino-umana, alla sofferenza, morte e risurrezione di Gesù, cioè, come membro della nuova alleanza, sia che sia cosciente di questo, sia che non lo sia (Mt 25,37ss).
III. L’amore di Dio, riversato dalla Spirito nei nostri cuori (Rm 5):
A. ci ha indissolubilmente legati ai nostri “fratelli maggiori”:
- Attraverso la nostra fede comune nella verità rivelata (anche se compresa in modo diverso) della Tanach, cioè, nel nostro linguaggio: la Sacra Scrittura dell’antica alleanza;
- Attraverso la confidenza fiduciosa nella sua futura “riconciliazione” (Rm 11,15) e la nostra unione con loro, “tutto Israele sarà salvato” (Rm 11,26).
B. ci mantiene comunque ancora divisi dai nostri fratelli nella misura in cui noi:
- Dobbiamo guardare a Simone figlio di Giona e ai suoi discendenti apostolici come alla pietra angolare del “popolo di Dio nel popolo di Dio”, il Qahal (ecclesia) rinnovato da Cristo che noi costituiamo e secondo cui al detentore della cattedra di San Pietro è stata assegnata la stessa autorevole infallibilità che Cristo ha riconosciuto ai detentori della cattedra di Mosè (Mt 23,2ss; chePapa Leone Magno aveva già trasferito alle autorità ecclesiastiche! Ep ad Eutiche 11,8), cosicchè un trasferimento di autorità si può ipotizzare sia avvenuto a Pentecoste, dopodiché l’apostasia della sinagoga “post-tannaitica” dal vero Giudaismo che era passata alla chiesa (Rm 2,23ss; Ap 2,9; 3,9) sarebbe avvenuta durante il periodo in cui l’atteggiamento temporeggiatore di Gamaliele I (At 5,38ss; cf. 17,10ss) venne gradualmente confuso dalle autorità del Tempio con l’atteggiamento di scomunica di Gamaliele II.[2]
- siamo debitori ai nostri fratelli separati di parlare con loro in uno scambio fraterno piuttosto che fare un problema delle differenze esistenti e del loro significato per la storia della salvezza, dovunque questo possa capitare senza mancanza di tatto - fino a che giungerà il Giorno in cui “diventeranno un solo gregge, un solo pastore” (Gv 10, 16), in cui “tutti i popoli …lo serviranno spalla a spalla.” (Sof 3, 9)
Legati dall’amore a cui noi abbiamo dato testimonianza, illuminati dalla fede e rafforzati dalla speranza, davanti ai nostri fratelli separati confessiamo che noi, cristiani cattolici abbiamo violato i nostri obblighi , che abbiamo dimenticato in molteplici modi e, invece di un amore paziente, attento e mansueto fino a negare noi stessi, secondo l’esempio del loro e nostro Signore e di alcuni dei suoi più grandi santi come Paolo, Gregorio Magno e Ignazio di Loyola, che sempre ancora più spesso noi li abbiamo incontrati come una incomprensione predominantemente impaziente o molto peggio. Possiamo comunque anche sottolineare che la chiesa stessa per almeno 2000 anni non si è stancata di pregare per loro e che noi preghiamo i salmi con loro: il canto di lode di Dio e la nostra supplica per il suo trionfo.
Questo trionfo, che noi, come loro, attendiamo con fiducia incrollabile, è allo stesso tempo il divenire visibile della redenzione di tutta l’umanità da ogni male (Is 24,8; At 21, 4) e dell’intero cosmo da ogni deficienza che gli è stata insita dalla Caduta dell’umanità (Gen 3, 17; Rm 8,19ss). Noi speriamo per questo nel momento in cui l’unità completa e non offuscata della volontà della Creazione con la volontà del Creatore - come un tempo nel Paradiso, prima della Caduta – sarà ristabilita; così come noi crediamo attraverso il potere della porzione “redentrice” dell’umanità redenta o della Chiesa compiuta, al di fuori di ebrei e Gentili nella carne, in Jehoshua, “Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome” (Fil 2, 9), che è uno con il Padre bell’unità di natura mai distrutta e nel quale anche noi, usciti dalla tenebra pagana, siamo stati chiamati dal suo apostolo ad una luce meravigliosa (1 Pt 2, 9; cfr. Ef 2,11ss), a lodare il Dio di Israele (Mt 15:13), come egli aveva promesso (Is 2, 2).
[1] Rom. 11:13f; 13:23ff; 2 Cor. 9:12ff; Gal. 2:10; cfr. Acts 20:24 – original text! – 24:17: interpreted in the study “Original Diakonie as a means of salvation of the original schism”, Freiburger Rundbrief VI, pp. 13ff. as well as “The Living God”, 26, pp. 103ff.
[2] Studiosi ebrei hanno attirato la nostra attenzione sul fatto che tuttavia una interdizione non fu mai emessa contro gli (ebrei) cristiani (come nel caso dei Cuthim, cioè i Samaritani e dei Caraiti); fu molto peggiore la maledizione dei Nosrim sotto Gamaliel II diretta solo ad eliminare cristiani nascosti dal guidare le preghiere nella sinagoga, ma è riportato che il patriarca successivo Jehuda-Ha-Nassi (ultima metà del II secolo), lo scriba della Mishnah, autorizzò i Nosrim a guidare le preghiere.
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Inserito 13/02/2014
Relazioni Ebraico-Cristiane
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