Eckert, Willehad
Olanda 01/09/1960
[Riassunto delle “Tesi di Apeldoorn” pubblicate in Freiburger Rundbrief, nos. 50-52, (1961), pp. 10-11. Tradotto dall’inglese da Ombretta Pisano]
Dal 28 agosto al 1 settembre 1960, su invito di Mons. Ramselaar, presidente del Consiglio Cattolico Olandese per Israele, ebbe luogo per la seconda volta una conversazione informale tra studiosi provenienti da differenti paesi interessati allo studio delle relazioni ebraico-cristiane. La conferenza ebbe luogo nel piccolo seminario della cittadina di Apeldoorn, nella diocesi di Utrecht (per la Prima Conferenza, si veda Freiburger Rundbrief no. 41/44 (1958-59), p. 80). Al pari della prima, anche questa seconda conversazione dimostrò l’accordo esistente tra tutti gli studiosi riguardo alla relazione tra il nuovo e l’antico popolo della di Dio. Questa volta, però, la discussione non insisteva nella possibilità di una conversazione ecumenica tra cristiani ed ebrei, o nel problema generale del movimento ecumenico. L’intento era piuttosto quello di chiarire in che misura i rappresentanti dei vari paesi hanno una posizione condivisa circa l’annuncio e quali richieste comuni emergono sull’istruzione religiosa e sulla predicazione quando si parla di ebraismo, di religione ebraica, e di relazione tra ebraismo e chiesa.
I partecipanti alla conferenza hanno discusso sui seguenti temi: Antico Testamento, Giudaismo al tempo di Gesù, la crocifissione di Gesù e la questione della colpa, la questione del rigetto, la speranza escatologica. Essenzialmente, tutti i partecipanti sono dell’opinione che l’orrore della persecuzione e dell’annichilazione degli ebrei del nostro tempo, così come il ritorno di molti ebrei alle loro vecchie-nuove patrie, come anche l’amabile attenzione rivolta dal papa per il primo popolo scelto da Dio, ci invitano ad un incontro di civiltà e ad impegnarci a riconoscere la realtà. L’Antico Testamento è la Parola di Dio per la Chiesa tanto quanto il Nuovo Testamento. La rivelazione e la storia della salvezza contenute nell’Antico Testamento si applicano a noi. Gesù Cristo, Parola di Dio fatta carne, è stato formato dalle tradizioni della sua terra e del suo popolo. Egli continua il percorso dei Patriarchi e dei Profeti e li adempie. Egli ha detto di se stesso: “Non sono venuto a distruggere la legge, ma ad adempierla” (Mat 5,17). Non si può contrapporre il Nuovo Testamento all’Antico adducendo che solo il Dio dell’ira è nell’Antico Testamento, mentre nel Nuovo si trova il Dio dell’amore, in quanto tanto la severità che l’amore di Dio, si rivelano sempre più nel corso di tutta la storia della salvezza in ambedue i Testamenti.
La ricerca storica e storico-religiosa in particolare, ci ha mostrato quanto poco conosciamo il contesto dell’epoca di Cristo. Per quanto possiamo affermare oggi, il mondo ebraico in quell’epoca era il ritratto di un periodo di grande crisi, ma non si può parlare di un collasso spirituale o religioso. Secondo i partecipanti alla conferenza, non sarebbe secondo verità né secondo carità dipingere l’ebraismo del tempo di Cristo come una caricatura volta ad enfatizzare il significato di Gesù e del suo insegnamento.
La conferenza si è occupata intensamente della questione della colpa per la morte di Gesù. Nella formazione religiosa dovrebbe essere esplicitato che al tempo di Gesù la grande maggioranza degli ebrei si era sparsa verso l’intera regione mediterranea e quindi non era coinvolta negli eventi di Gerusalemme. Ma anche tra gli ebrei di Palestina non tutti hanno avuto l’opportunità di incontrare Gesù durante il breve tempo del suo insegnamento. Tra coloro che hanno ascoltato Gesù c’erano i discepoli, che avrebbero formato la prima chiesa, le masse entusiaste e gli oppositori. Secondo i resoconti degli evangelisti, il giudizio di Gesù è stato il frutto di un piccolo gruppo di capi politici e religiosi. E poi, non sono Gesù, Pietro e Paolo ad attestare personalmente che anche i responsabili hanno agito per ignoranza? (Cf. Lc 23,34; At. 3,17; 1 Cor 2,28). Per l’annuncio cristiano è sufficiente enumerare le circostanze storiche. Esso indaga sui fondamenti più profondi della crocifissione. E’ per la salvezza dai peccati di noi tutti e la salvezza di noi tutti che Gesù ha assunto la morte sulla croce. Coloro che hanno partecipato al dramma della Calvario, ebrei e gentili, credenti e non-credenti, sono presenti come rappresentanti di tutta l’umanità. Gli esseri umani condividono la colpa degli assassini e degli esecutori di Cristo per i nostri peccati e per il nostro rigetto della grazia. Non resta altro da fare davanti alla croce se non accusarsi dei propri errori e peccati. I partecipanti alla conferenza rigettano come perversa la frase “il popolo che ha ucciso Dio”. Sono dolorosamente consapevoli di quanto tale frase, ripetuta tra i cristiani, abbia suscitato in passato sentimenti di antagonismo contro gli ebrei divenuti focolaio di disordini e persecuzione.
Ugualmente, i partecipanti alla conferenza anno protestato contro l’interpretazione di Mt 27,25 (“Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”) che vi vede un rigetto o anche una maledizione dell’intero popolo ebraico, come se Dio stesso avesse permesso che le urla di una folla inferocita ricadessero su un popolo intero, su milioni di innocenti. L’apostolo Paolo non ha forse detto: “Dio non ha rigettato il suo popolo” (Rm 11,1-2)? Nonostante le loro obiezioni al Vangelo, gli ebrei restano “riguardo all’elezione, amati a causa dei loro padri”, “perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili”, e in ultimo, “tutto Israele sarà salvato” (Rm 11,26-29). La distruzione del tempio e la dispersione degli ebrei (che esisteva già prima della crocifissione di Gesù) non si possono spiegare in modo tale che la sofferenza e l’umiliazione alle quali il popolo ebraico è stato sottoposto per secoli appaiano come conseguenza del rigetto che ambedue questi avvenimenti avrebbero (presumibilmente) manifestato.
I partecipanti alla conferenza hanno sottolineato che la speranza per la reintegrazione di Israele, nella misura in cui si è separato, è una speranza essenzialmente cristiana. E’ fondata sulle promesse di cui parla Paolo nella lettera ai Romani, oltre che altrove. Il “resto santo” di Israele che ha trovato la via verso Gesù è stato ampliato per l’entrata nella chiesa dei gentili, che per questo sono diventati discendenti di Abramo grazie alla fede. Anche se molti in Israele hanno promosso la diffusione del Vangelo, molto di più la reintegrazione di Israele rivelerà la misericordia e la fedeltà di Dio, il “ritorno” di Israele secondo la parola dell’apostolo delle genti (Paolo) significa “rivivere dai morti” (Rm 11,15). La porzione di Israele che si è tirata indietro davanti al Vangelo continua a vivere nell’ebraismo contemporaneo. La sua preservazione e la sua esistenza contemporanea è parte del progetto di salvezza di Dio, e perciò non è senza significato per la chiesa stessa. I cristiani non possono vedere l’esistenza degli ebrei come una questione meramente umana o politica. Dovrebbero accostarsi al mondo ebraico con comprensione e rispetto per il suo passato, la sua fede e le sue tribolazioni. Particolarmente sulla scia dell’orribile persecuzione degli ebrei nella nostra epoca, tutto deve essere fatto per smantellare i muri di divisione eretti da secoli di incomprensioni tra cristiani ed ebrei, e i cristiani devono sforzarsi, attraverso il loro comportamento verso gli ebrei, di mostrare il vero volto della chiesa.
Oltre a questi punti, sui quali è stato raggiunto un accordo completo, alcuni rappresentanti di centri di studio hanno offerto conferenze in vista di un’ulteriore preparazione per un più profondo annuncio cristiano sul popolo ebraico e sulla determinazione di Israele nel senso dei piani del 1958.
La consultazione e i colloqui sono stati arricchiti da una visita ad Amsterdam, al Museo di Storia Ebraica e alla Casa di Anna Frank. Nessuno dei partecipanti ha potuto ignorare la silenziosa messa in guardia comunicata dalla Casa di Anna Frank: non cessare gli sforzi volti all’incontro tra cristiani ed ebrei. Il corso della conferenza ha auspicato ulteriori conferenze e soprattutto ha incoraggiato il prosieguo dei lavori nei propri paesi,
- Agli occhi della chiesa, l’Antico Testamento ha la stessa pretesa di essere accettato come rivelazione di Dio quanto il Nuovo Testamento. La rivelazione data attraverso l’Antico Testamento e la storia salvifica in esso contenuta devono conservare il loro posto tradizionale nell’educazione e nella testimonianza cristiana. Ogni tentativo di ridurre il valore delle Scritture ebraiche, ogni tentativo di presentare le sue imperfezioni o le infedeltà del popolo ebraico in modo da generare disprezzo o più modestamente una mera antipatia, è contrario allo spirito della chiesa.
- Poiché la Parola si è fatta carne, Gesù trascende l’Ordine Antico. Nella Sua umanità, comunque, Egli è parte del Suo popolo e della Sua terra, immerso nelle loro tradizioni. Lo spirito dei Patriarchi e dei Profeti continua a vivere in Lui. Egli non è venuto “per abolire la Legge e i Profeti, ma per adempierli” (Mt 5,17). Né Lui né la Chiesa possono essere compresi fuori da questa cornice.
- Questa cornice ha molte sfaccettature e la conoscenza che ne abbiamo è limitata. Nonostante ciò, possiamo dire con fiducia che al tempo di Gesù il mondo ebraico presentava un’immagine di vita esuberante, non di degenerazione. Dobbiamo dare ai fedeli un’immagine reale dell’Ebraismo di quell’epoca, per quanto permettono gli studi storici. Sarebbe ingiusto dipingere una caricatura dell’Ebraismo per far sì che la grandezza di Gesù e del Suo insegnamento emergano per contrasto.
- Sarebbe contrario allo spirito della Chiesa mettere l’Antico e il Nuovo Testamento l’uno contro l’altro, il “Dio dell’ira” contro il “Dio dell’amore”, la “legge della paura” contro la “legge dell’amore”. La stessa grazia divina è progressivamente rivelata attraverso ambedue i Testamenti e lo stesso comando dell’amore è ugualmente presente in essi.
- Visto dal punto di vista storico, il drammatico conflitto tra Gesù e le autorità del Suo popolo che ha portato alla Sua condanna e crocifissione, è un problema intricato. Alcuni fatti devono, in qualche caso, essere ricordati. Al tempo di Gesù la maggioranza degli ebrei era già dispersa in tutti i paesi del Mediterraneo; di coloro che erano in Palestina, solo una frazione ha potuto conoscerlo. Tra coloro che hanno incontrato Gesù erano non solo i Suoi nemici e oppositori, ma anche le folle entusiaste ed i discepoli. Secondo i Vangeli, la reale opposizione è venuta solo da un gruppo di guide spirituali e politiche, e anche la condanna di Gesù è stata opera loro. Comunque anche loro – qualunque possa essere stata la loro responsabilità – hanno agito, come Gesù ha dichiarato, e, dopo di Lui, anche Pietro e Paolo, “per ignoranza” (cf. Lc 23,34; At 3,17; 1Cor 2,8). Se gli eventi di questo periodo vitale vengono presentati in modo storicamente inaccurato, la stessa istruzione cristiana viene condotta nell’errore.
- Anche più importante risulta un’accurata comprensione e spiegazione teologica del dramma del Golgota. Gesù ha sofferto ed è morto a causa del peccati di noi tutti e per la nostra salvezza. Nessuno rimane al di fuori della solidarietà del peccato, nessuno è escluso dalla grazia della salvezza. (Maria, libera da qualunque peccato, ha ricevuto un favore straordinario nel fatto che, in anticipo rispetto al sacrificio salvifico, è stata preservata da ogni colpa). Tutti coloro che hanno partecipato al dramma del Golgota. ebrei e gentili, credenti e non-credenti, hanno rappresentato l’umanità intera: si trovavano lì al posto di noi tutti. Ciò che ci rende complici dei nemici e dei carnefici di Cristo non è né nazionalità né religione, ma semplicemente e solamente il peccato, il rifiuto della grazia.
- E’, perciò, di estrema importanza evitare l’errore fatale di considerare responsabili della morte di Gesù gli ebrei del tempo, di tutti i tempi e loro soltanto. Questo genera l’assurdo concetto di un “popolo deicida” e incide sui sentimenti dei fedeli riguardo alla passione, instillando in essi ripulsa contro coloro immediatamente responsabili e non solo contro di loro ma contro l’intero popolo ebraico. Tali errori non solo falsificano il significato della Passione, ma deformano lo spirito del fedele. La Croce, questa fonte d’amore, d’umiltà e di espiazione unica, diventa fonte di avversione e odio, e pretesto per riversare il biasimo per i propri peccati sugli altri. Nel passato questi errori hanno alimentato tra i cristiani sentimenti ostili verso gli ebrei e provocato disprezzo e persecuzione. Queste false idee hanno condotto a situazioni in cui gli ebrei erano schiacciati a terra sotto il peso della Croce, e le spaventose conseguenze di quelle idee hanno contribuito a nascondere il reale significato della Passione agli ebrei.
- Il posto centrale della Passione nella vita del cristiano, la gravità degli errori menzionati, l’estensione delle persecuzioni del popolo ebraico nel mondo cristiano e le profondità abissali delle radici dell’odio contro l’ebreo, tutto ciò dovrebbe indurre la Chiesa a mettere in guardia sacerdoti, catechisti e, invero, tutti i credenti contro queste nozioni distorte. La Chiesa dovrebbe richiamarli ad evitare non solo gli errori in se stessi, ma anche tutte le espressioni che riflettono e nutrono tali errori, per esempio, generalizzazioni del tipo “gli ebrei hanno rigettato Cristo”, “gli ebrei hanno crocifisso Cristo”. Nell’esporre il Vangelo di Giovanni bisogna tenere presente il fatto che, in moti luoghi, l’evangelista usa l’espressione “gli ebrei” per indicare semplicemente e solamente “le autorità ebraiche ostili a Cristo”. La Chiesa è il vero “resto d’Israele”, ampliato dall’entrata di quei gentili divenuti figli di Abramo per la fede; come tale, deve unire dentro se stessa sia ebrei che gentili. Perciò, non si dovrebbe dire che il popolo ebraico è rigettato o che, dentro la Chiesa, i gentili hanno preso il posto degli ebrei. Non si deve nemmeno descrivere la realtà della salvezza come se la Chiesa avesse soppiantato Israele come un popolo potrebbe su un altro. Certo, la transizione tra l’antica e la nuova economia è stata accompagnata da cambiamenti radicali – istituzioni sono state soppiantate, è apparsa una nuova struttura onnicomprensiva – ma quel che era successo fu che lo stesso popolo di Dio era stato trasformato, nel portare avanti la pienezza della sua vocazione.
- La porzione di Israele che si è tenuta lontana da questa trasformazione è sopravvissuta nell’ebraismo dei nostri giorni. La sua sopravvivenza e presenza nel mondo costituiscono un elemento basilare del piano salvifico di Dio, e perciò non possono essere senza significato per la Chiesa. I cristiani non possono non tenere conto di questa realtà e neanche possono considerarla solamente dal punto di vista puramente umano o politico, come fa chi non crede. Essi devono piuttosto avvicinarsi al mondo ebraico con la comprensione e la soggezione dovute al suo passato, alla sua fede e alle sue prove. La Chiesa si aspetta dai suoi figli che questi non lascino nulla di intentato per abbattere il muro di separazione tra se stessi e gli ebrei, un muro che le incomprensioni di secoli hanno reso pressoché impenetrabile; e inoltre, che non lascino nulla di intentato per stabilire relazioni amichevoli con gli ebrei.
- Interpretare il destino del popolo ebraico nei secoli come il risultato di un rigetto da parte di Dio è fuorviante; l’insegnamento del Nuovo Testamento, specialmente di San Paolo, non lascia dubbi sull’errore di questa prospettiva: “Dio non ha rigettato il Suo popolo, che Egli ha conosciuto dal principio” (Rom 11,1-2). Nonostante la resistenza al Vangelo, “la loro elezione rimane, essi sono i prediletti di Dio” (11,28), e “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (11,29). E l’Apostolo non insegna forse che “tutto Israele sarà salvato” (11,26)? Giorno dopo giorno, la preservazione provvidenziale del popolo ebraico prova la fedeltà con cui Dio sostiene il Suo progetto di salvezza del mondo. Sarebbe, pertanto, contrario alla Scrittura e al vero spirito della Chiesa sostenere, come spesso avviene, che sul popolo ebraico pende una sentenza di rigetto, in realtà una maledizione. Sarebbe assurdo attribuire un tale significato, per esempio, a Matteo 27,25, “il suo sangue ricada su noi e sui nostri figli”. Come se Dio potesse ratificare le urla di un gruppo di dimostranti aizzati dai loro caporioni, e lanciare una maledizione su milioni di persone innocenti! Interpretare la distruzione del Tempio, la Diaspora (iniziata ben prima della crocifissione) e le sofferenze degli ebrei e le loro umiliazioni secolari come il risultato del rigetto da parte di Dio, sarebbe contrario all’insegnamento della Chiesa sul significato della sofferenza. Si farebbe bene a mettere in guardia il clero ed i fedeli, in tutta franchezza, dall’adottare tali idee inaccurate e per nulla cristiane sul destino del popolo ebraico.
- La speranza divinamente garantita della riunione della Chiesa e di Israele, è parte integrante della speranza cristiana. Allo stesso tempo, è la chiave del destino misterioso del popolo ebraico, tanto che senza di essa non vi è reale comprensione cristiana di questo destino. Quando o dovunque questa speranza è oscurata o dimenticata, la visione cristiana risulta distorta. Se, secondo l’insegnamento dell’Apostolo, la caduta di molti in Israele ha causato la diffusione del Vangelo e con essa la salvezza dei Gentili, quanto più la riunificazione di Israele rivelerà la misericordia e la fedeltà di Dio? Questa rivelazione sarà così gloriosa che l’Apostolo ha potuto descriverla come vita ex mortuis, “vita dai morti” (Rom 11,15). Questa speranza escatologica è sempre stata presente nella Chiesa. Essa esorta i credenti ad essere animati da questa attesa nel pensiero e nella preghiera e, non ultimo, nel loro atteggiamento verso i figli del popolo “da cui viene Cristo secondo la sua umanità, Dio sopra ogni cosa, benedetto per sempre. Amen” (Rom 9,5).
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Inserito 13/02/2014
Relazioni Ebraico-Cristiane
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