Dureghello, Ruth
Italia 17/01/2016
Sono emozionata nel dare il benvenuto mio, e di tutta la Comunità Ebraica di Roma a Lei, Papa Francesco, terzo Pontefice a varcare la soglia del nostro Tempio Maggiore la cui distanza da S. Pietro seppur breve, è sembrata per secoli incolmabile. L’incontro odierno dimostra che il dialogo tra le grandi fedi è possibile, un impegno volto a garantire accoglienza, pace e libertà per ogni essere umano.
Questo impegno comune si è concretizzato per la prima volta il 13 aprile 1986 con la storica visita di un Papa in questa Sinagoga. Se oggi siamo qui è grazie a due grandi del nostro tempo e soprattutto grazie al loro coraggio: Giovanni Paolo II ed Elio Toaff zl. Che la loro memoria sia di benedizione.
Il 17 Gennaio del 2010 quel gesto si è rinnovato dando il segno della continuità dei rapporti di amicizia tra le due sponde del Tevere ed è per questo che un caloroso saluto voglio indirizzarlo al Papa Emerito Benedetto XVI.
Oggi scriviamo ancora una volta la storia. Più di mezzo secolo fa incontri come quello al quale partecipiamo oggi sarebbero stati difficili da immaginare. Il Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII, concepì la dichiarazione Nostra Aetate aprendo le porte di un nuovo percorso all’insegna del dialogo. Percorso che, a 50 anni di distanza, continua con la produzione di nuovi documenti, anche grazie alla Commissione Vaticana per i Rapporti con l’Ebraismo. La Sua visita non porta con sé il segno dei ritualismi. È una tappa importante, in un momento delicato in cui le religioni devono rivendicare uno spazio nella discussione pubblica per contribuire alla crescita morale e civile della società.
Mi sento di poter dire che ebrei e cattolici, a partire da Roma, debbono sforzarsi di trovare assieme soluzioni condivise per combattere i mali del nostro tempo. Abbiamo la responsabilità di rendere il mondo in cui viviamo un posto migliore per i nostri figli.
Come sappiamo Roma ha un ruolo universale. Gli ebrei sono qui da ormai 22 secoli. La nostra Comunità, che ha vissuto una storia straordinaria di sopravvivenza dell’identità nonostante le discriminazioni e le persecuzioni, è una comunità vivace, attiva e complessa. In questa Sinagoga, simbolo dell’emancipazione politica della nostra Comunità, dopo la segregazione perdurata per quasi quattrocento anni, sono oggi presenti le tante espressioni dell’ebraismo romano, italiano e internazionale.
Gli Enti Ebraici sono istituzioni con radici antiche e tradizioni solide che rappresentano un ebraismo impegnato, nei secoli, al sostegno dei bisognosi, alla cura dei malati e degli anziani e, soprattutto, all’educazione dei figli e delle nuove generazioni. Persone, nella stragrande maggioranza volontari, che lavorano ogni giorno silenziosamente, con o senza ruoli ufficiali, per tenere viva una Comunità che è il mio più grande orgoglio ed è un grande orgoglio per tutta la città.
Lei, Papa Francesco, ha dimostrato da sempre un’amicizia con il mondo ebraico. Dall’Argentina ha portato con sé un bagaglio di rapporti saldi con l’Ebraismo, ribaditi fin dai primi atti del suo pontificato. Voglio ricordare due momenti in cui mi sono sentita particolarmente toccata dalle sue parole. Il primo, quando, durante la visita della delegazione di questa Comunità in Vaticano, l’11 ottobre del 2013, al quale ho avuto l’onore di partecipare, Lei si è rivolto al nostro Rabbino Capo dicendo che “un cristiano non può essere antisemita. L’antisemitismo sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna”. Il secondo, quando incontrando poche settimane fa il Presidente del World Jewish Congress, ha detto che “attaccare gli ebrei è antisemitismo, ma anche un attacco deliberato a Israele è antisemitismo”. Lo ribadisco perché questa Comunità, come tutte le comunità ebraiche nel mondo, ha un rapporto identitario con Israele. Siamo italiani, profondamente orgogliosi di esserlo e allo stesso tempo siamo parte del Popolo di Israele. È attraverso le sue parole che riaffermo con forza che l’antisionismo è la forma più moderna di antisemitismo.
Il Suo viaggio in Israele, e nella sua capitale Gerusalemme, è stato un atto per noi importante. Anche in quell’occasione Lei ha usato parole di profondo rispetto per lo Stato Ebraico auspicando che possa vivere in pace e sicurezza.
Per vedere tutto questo realizzato, dobbiamo ricordare che la pace non si conquista seminando il terrore con i coltelli in mano, non si conquista versando sangue nelle strade di Gerusalemme, di Tel Aviv, di Ytamar, di Beth Shemesh e di Sderot. Non si conquista scavando tunnel, non si conquista lanciando missili. Possiamo affrontare un processo di pace contando i morti del terrorismo? No. Tutti noi dobbiamo dire al terrorismo di fermarsi. Non solo al terrorismo di Madrid, di Londra, di Bruxelles e di Parigi, ma anche a quello che colpisce ormai tutti i giorni Israele. Il terrorismo non ha mai giustificazioni.
La lezione dell’odio che porta solo morte è davanti agli occhi di tutti. Lo insegna la storia recente e quella meno recente. Lo ha visto Lei con i suoi occhi a Buenos Aires che ha conosciuto il terrore antisemita il 18 luglio del 1994: ottantacinque morti e oltre duecento feriti.
Molti si chiedono se il terrorismo islamico colpirà mai Roma. Signori, Roma è già stata colpita. Un solo nome: Stefano Gaj Taché z.l, due anni, 9 ottobre 1982, ucciso da un commando di terroristi palestinesi. Ringrazio il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per aver onorato la memoria del piccolo Stefano ricordandolo nel suo discorso d’insediamento a Camere riunite e il Presidente Giorgio Napolitano per averlo inserito tra le vittime italiane del terrorismo.
L’odio che nasce dal razzismo e trova il suo fondamento nel pregiudizio o peggio usa le parole ed il nome di D-o per uccidere, merita sempre il nostro sdegno e la nostra ferma condanna.
Papa Francesco, oggi abbiamo una grande responsabilità di fronte al mondo. Di fronte al sangue sparso dal terrore in Europa e in Medio Oriente, di fronte al sangue dei cristiani perseguitati e agli attentati perpetrati contro civili inermi, anche all’interno dello stesso mondo arabo, di fronte agli orrendi crimini compiuti contro le donne. Non possiamo essere spettatori. Non possiamo restare indifferenti. Non possiamo cadere negli stessi errori del passato, fatti di silenzi assordanti e teste voltate. Uomini e donne che rimasero immobili davanti a vagoni stipati di ebrei spediti nei forni crematori. Eccoli, oggi in prima fila i nostri sopravvissuti alla tragedia della Shoah a ricordarci che la Memoria non è un esercizio di autoconsolazione per riparare agli orrori commessi. La Memoria del più grande genocidio della Storia dell’Uomo la teniamo viva affinché nulla di simile possa ripetersi. Questo il nostro impegno più grande per il futuro e per le nuove generazioni.
Con questa visita Ebrei e Cattolici lanciano oggi un messaggio nuovo rispetto alle tragedie che hanno riempito le cronache degli ultimi mesi.
La Fede non genera odio, la Fede non sparge sangue, la Fede richiama al dialogo.
Una convivenza ispirata all’accoglienza, alla pace e alla libertà in cui si impari a rispettare, ciascuno con la propria identità, l’altro. Come oggi qui a Roma, così in ogni luogo. Siamo certi che questa consapevolezza, che non appartiene esclusivamente alle nostre religioni, possa trovare la collaborazione anche dell’Islam. La nostra speranza è che questo messaggio giunga ai tanti Musulmani che condividono con noi la responsabilità di migliorare il mondo in cui viviamo. Insieme possiamo farcela.
Shalom Papa Francesco, Shalom a tutti voi.
Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma
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Inserito 17/01/2016
Relazioni Ebraico-Cristiane
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