Un Giusto da riconoscere

Italia      29/01/2014      1507

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Pubblicata su L'Osservatore Romano, 29 gennaio 2014

La chiesa romana di San Benedetto, presso il Gazometro, è affollata nel pomeriggio del 26 gennaio, non per la messa ma per ascoltare quanto verrà detto su don Giovanni Gregorini, che di questa chiesa fu parroco dal 1942 al 1984, per oltre quarant'anni. Mi ha invitata il parroco di oggi, don Fabio Bartoli, a parlare, insieme a monsignor Andrea Lonardo, del mio libro Portico d'Ottavia 13 in cui la figura di don Gregorini emerge viva. Perché don Gregorini, il 16 ottobre 1943, ha accolto nella Chiesa quattro o cinque famiglie di ebrei dando loro protezione e cibo, con una calda e affettuosa accoglienza che le parole dei pochi sopravvissuti ricreano con vivezza. A parlare sono Deborah Di Veroli e Costanza Fatucci, allora due bambine di dieci anni circa, adesso due anziane signore ancora piene di vita. I Di Veroli e i Fatucci abitavano in via Portico d'Ottavia 13 e riuscirono a sfuggire tutti alla razzia nazista. I Di Veroli si recarono subito nella parrocchia di San Benedetto, dove il padre, Attilio, conosceva già il parroco, che lo accolse dicendogli: "Entra, abbiamo avuto or ora disposizione di farvi entrare". 

Dopo i bombardamenti della guerra la chiesa di San Benedetto venne ricostruita, e don Gregorini continuò a esserne il parroco. Fu un sacerdote noto, riconosciuto per i suoi meriti pastorali, ma dei suoi meriti come salvatore degli ebrei braccati non sembra abbia raccontato molto. Forse, gli sembrava, come ad altri salvatori, di aver fatto il giusto e di non doversi vantare. Ma i riconoscimenti sono importanti, perché rappresentano un esempio per il resto del mondo oltre che una gratificazione per chi li riceve. Così, la comunità ebraica gli dedicò una targa, che è dentro la chiesa, in anni non troppo lontani, su sollecitazione di coloro che erano stati salvati. Ma nessuno ha finora posto il problema dell'attribuzione a questo sacerdote umano e coraggioso dell'etichetta di "Giusto delle nazioni" che pure dovrebbe essergli data. Credo che bisogni percorrere questa strada e che colui che parlava di religione con i suoi amici ebrei e confortava il dolore dei famigliari delle vittime debba avere il suo riconoscimento accanto agli altri Giusti del mondo. Mi sembra dovuto e necessario. Per lui e per coloro che ha accolto e salvato.

(L'Osservatore Romano, 29 gennaio 2014)

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