Documenti sulla Nostra Aetate (1965)
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Herzl, Theodore
Città del Vaticano
Il 26 Gennaio 1904, Theodor Herzl ebbe un’udienza con Papa Pio X in Vaticano per cercare sostegno al tentativo sionista di stabilire uno stato ebraico in Palestina. Egli registrò il racconto dell’incontro nel suo diario.
Fonte: Raphael Patai, The Complete Diaries of Theodor Herzl, translated by Harry Zohn (New York/London: Herzl Press, Thomas Yoseloff, 1960), 1601-1605. Il "Lippay" ta cui egli si riferisce è il Conte Berthold Dominik Lippay, un ritrattista del papa austriaco, che Herzl aveva incontrato a Venezia e che aveva combinato l’udienza con il Papa.
Ieri sono stato con il Papa. La strada mi era già familiare perché l’avevo percorsa numerose volte con Lippay.
Superai i valletti svizzeri che sembravano ecclesiastici e gli ecclesiastici che sembravano valletti, i funzionari del papa e i camerlenghi.
Arrivai dieci minuti in anticipo e non dovetti nemmeno aspettare.
Fui condotto dal Papa attraverso numerose piccole sale.
Mi ricevette in piedi e mi porse la mano, che io non baciai.
Lippay mi aveva detto di farlo, ma io non lo feci.
Credo che questo gli dispiacque perché chiunque va in visita da lui si inginocchia o per lo meno gli bacia la mano.
Questo baciamano mi causò molti dispiaceri. Sono stato molto contento quando finalmente fine cadde in disuso.
Egli sedette su una poltrona, un trono per occasioni minori. Poi mi invitò a sedermi accanto a lui e sorrise in amichevole attesa.
Cominciai:
"Ringrazio Vostra Santità per il favore di m'aver accordato quest'udienza".
"È un piacere",disse con un’aria di benevola disapprovazione.
Mi scusai per il mio povero italiano, ma egli disse:
"No, parla molto bene, signor Commendatore."
Per la prima volta – su consiglio di Lippay – mi ero messo il nastro dell’ordine di Mejidiye e, di conseguenza il papa si rivolse a me sempre come Commendatore.
Lui è un buon rozzo prete di villaggio per il quale il cristianesimo era rimasto una cosa viva persino in Vaticano.
Gli presentai brevemente la mia richiesta. Tuttavia egli, forse infastidito dal mio rifiuto di baciargli la mano, rispose in modo duro e risoluto:
"Noi non possiamo favorire questo movimento. Non potremo impedire agli Ebrei di andare a Gerusalemme — ma favorire non possiamo mai. La terra di Gerusalemme se non era sempre santa, è santificata per la vita di Jesu Christo(egli non pronunciò Gesù, ma Yesu, secondo la pronuncia veneta). Io come capo della chiesa non posso dirle altra cosa. Gli Ebrei non hanno riconosciuto nostro Signore, perciò non possiamo riconoscere il popolo ebreo."
Perciò il conflitto tra Roma, rappresentata da lui, e Gerusalemme, rappresentata da me, si aprì ancora una volta.
All’inizio, a dire il vero, cercai di essere conciliante. Recitai il mio piccolo pezzo sulla extraterritorialità, res sacrae extra commercium [luoghi santi lontani dal commercio]. Ma questo non gli fece molta impressione. Gerusalemme, disse, non doveva entrare nelle mani degli ebrei.
"E il suo status attuale, Santo Padre?".
"Lo so, non è piacevole vedere che i turchi possiedono i nostri Luoghi Santi. Siamo proprio
costretti a sopportarlo. Ma favorire gli ebrei nell’ottenere i Luoghi Santi, questo non possiamo farlo
Io dissi che il nostro punto di partenza era stato soltanto la sofferenza degli ebrei e che noi desideravamo evitare problemi di natura religiosa.
“ Sì, ma noi e Io, in quanto capo della Chiesa non posso fare questo. Ci sono due possibilità: o che gli ebrei stiano attaccati alla loro fede e continuino ad aspettare il Messia che, per noi, è già apparso. In questo caso essi negheranno la divinità di Gesù e noi non possiamo aiutarli. Oppure essi andranno là rinunciando ad ogni religione e allora meno che mai possiamo essere favorevoli a loro.
La religione ebraica fu il fondamento della nostra, ma fu sostituita dagli insegnamenti di Cristo, e noi non possiamo riconoscerle ulteriore validità. Gli ebrei, che avrebbero dovuto essere i primi a riconoscere Gesù Cristo, fino ad oggi non l’hanno fatto”.
Ero sul punto di dire: "Accade in ogni famiglia. Nessuno crede ai suoi parenti." Invece dissi: "il terrore e le persecuzioni non furono forse il modo giusto per illuminare gli ebrei ."
Ma egli replicò e questa volta fu magnifico nella sua semplicità.
"il Nostro Signore è venuto senza potere. Era povero. È venuto in pace. Non ha perseguitato nessuno. Lui fu perseguitato.
Fu abbandonato persino dai suoi apostoli. Solo più tardi crebbe di importanza. Ci vollero tre secoli perché la Chiesa si sviluppasse. Gli ebrei dunque ebbero il tempo di riconoscere la sua divinità senza nessuna costrizione. Ma fino ad oggi non l’hanno fatto."
"Ma, Santo Padre, gli ebrei si trovano in terribili difficoltà. Non so se Sua Santità è al corrente della completa estensione di questa triste situazione. Abbiamo bisogno di una terra per quel popolo perseguitato."
"Deve essere proprio Gerusalemme?"
"Non chiediamo Gerusalemme, ma la Palestina – solo la terra secolare."
"Non possiamo essere a favore di questo."
"Sua Santità conosce la situazione degli ebrei ?"
"Sì, dal tempo in cui stavo a Mantova. Gli ebrei vivevano lì. E io sono stato sempre in buoni rapporti con gli ebrei. Solo l’altra sera due ebrei sono venuti qui da me. Dopo tutto ci sono altri legami che quelli religiosi: cortesia e filantropia. A quegli ebrei non neghiamo nulla. In verità, noi preghiamo anche per loro: che le loro menti siano illuminate. Proprio in questo giorno la Chiesa celebra la festa di un non credente che, sulla via di Damasco, si convertì in modo miracoloso alla vera fede. E così, se lei andrà in Palestina e il suo popolo vi si stabilirà, noi vogliamo essere pronti, chiese e preti, per battezzarvi tutti."
Il conte Lippay si era annunciato. Il Papa gli consentì di entrare. Il Conte si inginocchiò, gli baciò la mano, poi si unì alla conversazione parlando del nostro "miracoloso" incontro alla birreria Bauer a Venezia. Il miracolo consisteva nel fatto che in origine egli aveva programmato di passare la note a Padova. E fu in questa circostanza che io avevo espresso il desiderio di poter baciare il piede del Santo Padre.
A questo punto il Papa fece un viso lungo, poiché io non avevo affatto baciato la sua mano. Lippay continuò a dire che mi ero espresso in modo elogiativo sulle nobili qualità di Gesù Cristo. Il Papa ascoltò e poi prese una presa di tabacco, e starnutì in un grande fazzoletto di cotone rosso. In realtà, questi modi contadini sono ciò che mi piace di più di lui e ciò che impone il mio rispetto.
A questo punto Lippay volle spiegare la ragione per la quale mi aveva introdotto, forse per scusarla. Ma il Papa disse: «Al contrario, io sono contento che mi ha portato il signor Commendatore.
Riguardo alla vera faccenda, ripetette ciò che mi aveva già detto: Non possumus [Non possiamo]!
Fino a quando non ci congedò, Lippay trascorse qualche tempo in ginocchio davanti a lui e sembrava non si saziasse mai di baciargli la mano. Allora mi resi conto che al Papa piaceva questa sorta di cosa. Ma la momento di congedarmi, tutto quello che feci fu di dargli una calorosa stretta di mano e un inchino.
Durata dell’udienza: circa 25 minuti.
Nelle Stanze di Raffaello dove io passai l’ora successive, vidi un dipinto di un imperatore in ginocchio al quale un Papa seduto poneva la corona sul capo.
Questo è il modo con cui Roma lo vuole.
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Traduzione italiana:Maria Brutti
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Documento inserito il 11/02/2014
Relazioni Ebraico-Cristiane
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